La musica Urban è un termine generico
che comprende diversi generi musicali
derivati dalla cultura Hip Hop
come il Rap, il R&B, il Soul, il Funk, il Reggae e la Dancehall.
Questi generi hanno avuto una grande influenza sulla musica popolare,
sia dal punto di vista artistico che sociale
ed hanno dato vita a numerosi album che sono rimasti nella storia
per la loro qualità, originalità ed impatto.
In questo articolo, vogliamo presentarVi i cinque album
che, secondo Noi, hanno segnato la storia della musica Urban
e che meritano di essere ascoltati ed apprezzati
da tutti gli appassionati di musica.

The Miseducation of Lauryn Hill (1998) di Lauryn Hill

Il primo album che vogliamo citare è il capolavoro di Lauryn Hill,
The Miseducation of Lauryn Hill, uscito nel 1998.
Questo album è considerato uno dei migliori album di tutti i tempi,
non solo nella musica Urban, ma in generale
ed è stato il primo album Hip Hop a vincere il Grammy Award
come Album of the Year.
Lauryn Hill, ex membro del gruppo The Fugees,
ha dimostrato in questo album la sua straordinaria versatilità
come cantante, rapper, produttrice e compositrice
mescolando con maestria elementi di Rap, R&B, Soul, Reggae e Gospel.
L’album affronta temi
come l’amore, la maternità, la spiritualità, l’identità, il razzismo ed il femminismo
con una voce potente e sincera che trasmette emozioni profonde.
Tra le canzoni più famose dell’album
ci sono Doo Wop (That Thing), Ex-Factor, Everything Is Everything e Zion.

Illmatic (1994) di Nas

Il secondo album che vogliamo menzionare è Illmatic,
il debutto di Nas, uscito nel 1994.
Questo album è considerato uno dei migliori album Rap di tutti i tempi
ed ha rivoluzionato il genere con le sue liriche complesse, poetiche e realistiche
e con le sue produzioni innovative, affidate a grandi nomi
come DJ Premier, Pete Rock, Q-Tip e Large Professor.
Nas racconta la sua vita nel quartiere di Queensbridge, a New York,
tra violenza, droga, povertà e speranza,
con uno stile che ha influenzato generazioni di rapper.
Tra le canzoni più celebri dell’album
ci sono N.Y. State of Mind, The World Is Yours, Life’s a Bitch e One Love.

Songs in the Key of Life (1976) di Stevie Wonder

Il terzo album che vogliamo citare è Songs in the Key of Life,
il diciottesimo album di Stevie Wonder, uscito nel 1976.
Questo album è considerato uno dei capolavori della musica Soul
ed ha vinto quattro Grammy Awards,
tra cui Album of the Year.
Stevie Wonder ha scritto, prodotto e suonato
quasi tutti gli strumenti in questo album,
che è una celebrazione della vita in tutte le sue sfaccettature
con canzoni che parlano di amore, famiglia, religione, politica, razzismo e pace.
L’album è ricco di influenze musicali diverse
come il Funk, il Jazz, il Rock, il Pop e la musica africana
ed ha ispirato molti artisti successivi
come Michael Jackson, Prince, Kanye West e Beyoncé.
Tra le canzoni più famose dell’album
ci sono Sir Duke, I Wish, Isn’t She Lovely e As.

The Chronic (1992) di Dr. Dre

Il quarto album che voglio menzionare è The Chronic,
il primo album solista di Dr. Dre, uscito nel 1992.
Questo album è considerato uno dei più importanti nella storia del Rap
ed ha lanciato il genere Gangsta Rap e il sound G-funk,
caratterizzato da campionamenti di Funk, synth, bassi e voci melodiche.
Dr. Dre, ex membro del gruppo N.W.A.,
ha prodotto e rappato in questo album
che ha introdotto al grande pubblico artisti
come Snoop Dogg, Nate Dogg, Kurupt e Daz Dillinger.
L’album affronta temi
come la vita di strada, la droga, il sesso e le rivalità tra rapper
con uno stile ironico, provocatorio e divertente.
Tra le canzoni più famose dell’album
ci sono Nuthin’ but a ‘G’ Thang, Fuck wit Dre Day, Let Me Ride e The Roach.

Thriller (1982) di Michael Jackson

Il quinto ed ultimo album che vogliamo citare è Thriller,
il sesto album di Michael Jackson, uscito nel 1982.
Questo album è considerato il più venduto di tutti i tempi,
con oltre 66 milioni di copie vendute nel mondo
ed è stato il primo album a vincere otto Grammy Awards,
tra cui Album of the Year.
Michael Jackson, già famoso come membro dei Jackson 5,
ha raggiunto il suo apice artistico con questo album,
che ha mostrato la sua incredibile voce,
il suo talento come ballerino
ed il suo carisma come performer.
L’album contiene nove canzoni, di cui sette sono diventate singoli di successo,
e spazia tra diversi generi musicali
come il Pop, il Rock, il R&B, il Funk ed la Disco.
L’album ha anche rivoluzionato il mondo dei video musicali,
con il celebre cortometraggio di 14 minuti che accompagna la canzone Thriller,
diretto da John Landis.
Tra le canzoni più famose dell’album
ci sono Billie Jean, Beat It, Wanna Be Startin’ Somethin’ e Human Nature.

Conclusioni

Questi sono i cinque album che abbiamo scelto di presentarVi,
ma ovviamente ce ne sono molti altri
che meritano di essere ascoltati ed apprezzati
nella storia della musica Urban.
Speriamo che l’articolo Vi sia piaciuto e Vi abbia incuriosito a scoprire di più
su questi artisti e questi generi musicali.
Se avete dei commenti, delle domande o delle segnalazioni,
non esitate a scrivere.


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Il Gangsta Rap è un genere di musica Hip Hop che è divenuto popolare
a partire dagli anni novanta, come conseguenza dello stile di vita violento
di alcuni quartieri americani, in cui povertà e criminalità
erano (e in alcuni casi lo sono tutt’ora) all’ordine del giorno.

Poter (e potersi) raccontare “senza censure” è sempre stato un vantaggio
per chi scrive testi rap, il Gangsta Rap è un genere di musica Hip Hop
che nasce per necessità di chi racconta le difficoltà quotidiane del proprio quartiere,
le difficoltà sociali/razziali, ma anche il riscatto socio/culturale di chi ce l’ha fatta.

Lo stile e i testi

A livello musicale, il Gangsta Rap è caratterizzato da testi crudi, aggressivi e realistici,
che rispecchiano le difficoltà incontrate dagli artisti del genere
nella vita di tutti i giorni:
potrebbe essere considerato una sorta di reportage dal ghetto,
con temi che includono sparatorie, violenza e guerre tra gang,
consumo e smercio di droga, misoginia ed eccessi di ogni genere;
non mancano tuttavia i brani più rilassati, di evasione,
che creano atmosfere più di “festa
(soprattutto delle cosiddette house party, ovvero le feste in casa),
nelle quali comunque si avverte o si fa riferimento esplicito alla realtà
non semplice che si è costretti ad affrontare ogni giorno.
Data la natura iperrealistica del genere,
lo sviluppo delle tematiche
si svolge prettamente sotto forma di un vero e proprio storytelling,
spesso in prima persona.
Tra le tracce più importanti e significative di questo tipo,
troviamo “Gin and Juice” di Snoop Dogg,
estratto dal suo album “Doggystyle” rilasciato nel 1993,
e “It Was a Good Day” del rapper Ice Cube, dal suo album The Predator” del 1992.

Questo tipo di Rap è anche ricco di dissing,
ovvero tracce prodotte appositamente per denigrare,
insultare o minacciare qualche avversario,
solitamente un’altro rapper con il quale si è creato dell’astio
(come nel caso della tracciaFuck wit Dre Day”,
prodotta e rappata da Dr. Dre in collaborazione con Snoop Dogg indirizzata a Eazy-E).

A volte invece il dissing è indirizzato a qualcuno di esterno al rap game,
a volte è indirizzato a un’intera categoria,
e in questo caso può prendere le sembianze di una vera e propria denuncia sociale:
caso emblematico di questo tipo è il brano Fuck tha Police degli N.W.A.,
estratto dal loro album del 1988 Straight Outta Compton.
La traccia in questione può essere considerata un vero e proprio dissing
alle forze di polizia di Los Angeles,
che venivano accusate di abuso di potere e accanimento violento
ai danni dei cittadini di colore.

Le strumentali e il sound

Le strumentali del Gangsta Rap sono tipicamente di impatto,
spesso semplici ma incisive.
Soprattutto nelle fasi primordiali del genere,
(nella seconda metà degli anni ottanta) si possono notare molte similarità
con l’Hip Hop Old School:
batterie ”grosse”, scratch del DJ e voce del rapper molto riverberata.
La parte melodica e armonica è spesso ridotta all’osso se non completamente assente:
6 N the Mornin’ di Ice-T è un’ottimo esempio
che rispecchia tutte queste caratteristiche.
Con l’evolversi del genere, tuttavia, il sound diventerà più complesso e “tipico”,
slacciato dall’Hip Hop vecchia scuola:
durante gli anni novanta, ad opera soprattutto di Dr. Dre,
ma anche di artisti come DJ Quik e il gruppo Above the Law,
si assisterà ad una vera e propria fusione del Funk con l’Hip Hop,
dando vita al sottogenere G-funk,
caratterizzato da un maggior utilizzo di parti suonate e registrate
a discapito dei samples e da un groove e melodie tipicamente funky;
suono emblematico del genere è sicuramente il famosissimo funky worm
utilizzato da Dr. Dre in praticamente ogni traccia del suo album The Chronic del 1992,
ovvero un suono molto acuto prodotto con il sintetizzatore Moog.

La storia e gli inizi

La vera culla dell’Hip Hop è New York.
I primi artisti Rap di questa grande città hanno creato negli anni settanta un sound
e una cultura che ha dato voce ai giovani neri delle città d’America.
Mentre nella Grande Mela si sviluppava questo nuovo movimento culturale,
sulla costa ovest degli Stati Uniti la storia era diversa.
A Los Angeles, infatti, la scena musicale e gli artisti dei primi anni ottanta
erano lontani dal sound Hip Hop.

Il cuore della vita notturna di L.A. erano le feste,
tenute solitamente presso piste di pattinaggio o sale da ballo,
alle quali era presente un DJ attrezzato con un paio di giradischi e un mixer
accompagnato eventualmente da delle band che si esibivano live:
si suonava principalmente techno e funk,
generi predominanti all’epoca nella zona di Los Angeles.
Alcuni gruppi tuttavia, influenzati dal nuovo sound Hip Hop della East Coast,
crearono uno stile musicale che fondeva queste influenze
con la techno e l’electro funk:
uno tra questi, decisivo per il successivo sviluppo del West Coast Rap,
fu il “World Class Wreckin’ Cru”,
che fece il suo debutto nell’anno 1984.
Tra i componenti di spicco del gruppo ci furono Dr. Dre, DJ Yella, e Lonzo Williams.
Il loro sound aveva però molto più in comune con la musica di Prince e Funkadelic
rispetto a quella dei Run DMC, ad esempio.
A dare invece il primo imprinting “gangsta” alla musica losangelina fu il rapper Ice-T.

Il primo approccio “Gangsta”

Ispirato dallo stile di vita delle gang di strada,
il rapper Ice-T sentì di dover documentare ciò che vedeva e viveva tutti i giorni.
Produsse così nel 1987 il singolo “6 ‘N the Mornin’”,
che a livello testuale si presenta come una sorta di “inno di strada”,
documentando la quotidianità di gangster e spacciatori dell’epoca.
La strumentale del brano è minimalista,
lo storytelling è infatti accompagnato da una ritmica semplice e incisiva;
una vera e propria novità nel panorama musicale di L.A.

Nonostante con “6 ‘N the Mornin‘” si sancisca solitamente la nascita del Gangsta Rap,
Ice-T afferma che la sua fonte di ispirazione principale
per mettere in rima le difficoltà di strada dei quartieri di L.A.
fu il brano “Park Side Killers” del rapper di Philadelphia Schoolly D,
artista che trattava temi come il realismo urbano, la violenza e la spavalderia sessuale.
Possiamo considerare dunque Schoolly D come il primo vero gangsta rapper
della storia, anche se furono poi gli artisti della West Coast,
come appunto Ice-T con il suo singolo,
a dare reale importanza a quel sound e a renderlo un genere a sé stante.

Gli N.W.A.

Mano a mano che le strade di L.A. diventavano più pericolose,
(a causa anche dell’arrivo del crack)
i DJ Electro come Dr. Dre, Arabian Prince e DJ Yella reagirono alla nuova realtà,
adottando un sound diverso, più lento, più minaccioso e più incentrato
sul raccontare una storia e uno stile di vita,
nonostante per il momento la musica più gettonata nei locali
(e ancora suonata da Dr. Dre stesso) fosse ancora l’Electro.
I tre artisti, insieme a Eazy-E, MC Ren e Ice Cube, fondarono, nel 1986,
il gruppo Gangsta Rap N.W.A., acronimo di niggaz with attitude,
all’interno dell’etichetta Ruthless Records,
fondata un anno prima da Eazy-E, Dr. Dre e il manager Jerry Heller.

Gli N.W.A. si riveleranno essere uno dei gruppi più influenti
della storia del Gangsta Rap, se non dell’intera epoca degli anni novanta.
Appartenenti al violentissimo quartiere losangelino di Compton,
dal quale provenivano tutti i membri,
il gruppo componeva testi spesso apparentemente inneggianti a criminalità,
violenza, spaccio di droghe, vita di strada e misoginia,
che ben rispecchiavano il clima che si respirava a Compton,
ma anche di protesta contro i soprusi subiti dalla popolazione afroamericana
da parte della polizia.

Il disco gangsta per eccellenza:
Straight outta Compton

Il singolo di “svolta” degli N.W.A. è stato “Boyz-n-the hood”, rilasciato nel 1987.
Scritto da Ice Cube
(quasi come una sorta di continuo di 6 ‘N tha Mornin’ di Ice-T)
e cantato da Eazy-E,
fu questo brano a dare una direzione artistica definitiva al gruppo.
Si tratta anche in questo caso di uno storytelling
della giornata tipo di un gangster di Los Angeles,
accompagnato da una produzione minimale composta da batteria,
sample di synth, hits tipici dell’Hip Hop anni ottanta e scratch sul ritornello.


Ciò che però sarà di fondamentale importanza per la scena musicale di L.A.
fu il disco “Straight Outta Compton”, pubblicato l’8 Agosto del 1988.
Con questo album, che ebbe un successo incredibile,
il Gangsta Rap si fece posto nel mainstream musicale di Los Angeles,
spodestando la Techno e la Electro,
e inoltre spostò il fulcro della scena Hip Hop sulla West Coast.
Nell’album si testimoniava la repressione che si sentiva
nelle strade di South Central L.A. e si esportava questa visione
ad un pubblico molto più ampio di quello che l’Hip Hop
aveva potuto avere fino ad allora.
Fu proprio questo il motivo per cui Straight Outta Compton fece tanto scalpore
e attirò così tanto l’attenzione dei media:
il Gangsta Rap arrivò anche nei quartieri “bianchi”,
e moltissimi ragazzini con nessuna affiliazione al ghetto
o alla vita di strada cominciarono ad ascoltare il genere ed esserne influenzati,
tanto da rendere i gangsta rapper degli eroi della nuova generazione.

Fu un singolo estratto dall’album, in particolare, ad attirare l’attenzione dei media
e, addirittura, dell’F.B.I.: Fuck tha Police,
nel quale il gruppo si scaglia apertamente contro i soprusi
effettuati dalle forze dell’ordine di Los Angeles
a danno della popolazione afroamericana.
Il culmine dello scandalo legato a questo brano si raggiunse durante un concerto
a Detroit, nel 1989, dove la polizia invase il palco
per cercare di arrestare i membri della crew,
dopo che il divieto imposto loro di cantare Fuck tha Police non fu rispettato.

L’evoluzione verso un nuovo stile

La costa ovest aveva dunque oramai attirato l’attenzione di tutta l’America.
Dopo lo scioglimento degli N.W.A. nel 1991, Dr. Dre registrò un album da solista
che avrebbe cambiato il futuro dell’Hip Hop e della cultura popolare americana,
ovvero The Chronic.
Rilasciato il 16 Settembre 1992,
l’album richiamava rispetto ai precedenti lavori con gli N.W.A.
un clima più spensierato,
più simile all’atmosfera delle house party (feste in casa) di L.A.,
seppur conscio dei tempi pericolosi che correvano e dei vari problemi
che affliggevano i quartieri popolari.
Le produzioni di Dr. Dre in questo album, di livello elevatissimo
e con un utilizzo più massiccio di strumenti
a discapito dell’impiego di campionamenti rispetto all’Hip Hop degli anni precedenti
e a quello della costa est, presentano un groove e una ritmica Funky,
che contribuirono a spostare nuovamente il West Coast Rap verso un’altra direzione,
composta dalle influenze gangsta del Rap
e dalla musica Funky onnipresente a L.A.: il G-Funk.

La lotta per il predominio

L’impatto e l’influenza degli N.W.A. prima e di Dr. Dre con il suo The Chronic
poi avevano spostato l’attenzione del mondo Hip Hop sulla West Coast.
Dr. Dre faceva allora parte della Death Row Records,
guidata da Suge Knight, che vantava artisti del calibro di Snoop Dogg
(che ottenne un enorme successo col suo album G-Funk Doggystyle del 1993),
Tha Dogg Pound ma sopratutto il celeberrimo Tupac Shakur.

Questo spostamento di “focus” non fu tuttavia gradito a tutti sulla East Coast,
che si vide strappato il suo scettro finora indiscusso sul mondo Hip Hop:
in particolare tra la Bad Boy Records, casa discografica guidata da Puff Daddy
e comprendente artisti del calibro di Craig Mack e The Notorious B.I.G.,
e la Death Row si creò un acceso clima di tensione e rivalità,
per assicurarsi il predominio su un mercato
che stava diventando sempre più lucrativo.

Questa contesa per il primato sul mercato musicale fu marchiato dai media
come una vera e propria faida, una guerra tra East e West Coast
(nonostante in realtà, almeno all’inizio, si trattava poco più che di frecciatine).
Questo contribuì ad aumentare ulteriormente l’esposizione del Rap
(e in particolare del Gangsta Rap) ad un pubblico ancora più ampio
e inoltre creò una sorta di rivalità nei fan dell’una e dell’altra scena,
impattando in maniera indelebile la cultura Hip Hop degli anni novanta.

La situazione diventò molto più seria dopo che a Tupac
vennero sparati cinque colpi in uno studio di registrazione di New York
il 20 Novembre del 1994.
Il rapper accusò la Bad Boy Records, e in particolare Notorious B.I.G.
(fino ad allora suo grande amico), di essere il mandante dell’attentato.
Quando nel 1995 Notorious B.I.G. pubblicò il brano Who Shot Ya?,
la situazione precipitò.
Il brano sembrava infatti essere una sorta di rivendicazione
di Notorious B.I.G. per la sparatoria che aveva ferito Tupac nel 1994;
Shakur, sicuro della responsabilità della Bad Boy Records,
pubblicò nel giugno del 1996 il singolo Hit‘Em Up,
ovvero il dissing probabilmente più famoso della storia del Gangsta Rap:
costruito su un campionamento del brano Don’t Look Any Further di Dennis Edwards,
la traccia prende di mira in maniera pesante,
tra minacce di morte e ridicolizzazioni varie, Notorious B.I.G. e Puff Daddy,
ma non risparmia neanche gli altri artisti della Bad Boy Records,
oltre che altri nomi importanti della East Coast, come i Mobb Deep.
Il brano è considerato un vero e proprio classico del Gangsta Rap,
seppur fu criticato per l’eccessiva istigazione alla violenza che proponeva,
e probabilmente a buona ragione: il 7 Settembre 1996,
in seguito all’ulteriore inasprimento della faida,
Tupac verrà colpito a morte da diversi spari a Las Vegas.
Notorious B.I.G. subirà la stessa sorte pochi mesi dopo, il 9 Marzo del 1997.

Dopo questi due tragici omicidi, le rivalità furono finalmente deposte:
le due coste avevano perso i loro esponenti più importanti
e grazie all’enorme esposizione mediatica tutto il mondo ormai conosceva il clima
di ostilità e le difficoltà che il Gangsta Rap raccontava nei suoi testi.

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Cover Madreperla

Dallo sfornare classici dell’underground come Mi Fist con i Club Dogo,
per poi ridimensionare l’hip hop a Milano con lo stesso gruppo,
fino a comporre pietre miliari da solista durante la scorsa decade:
cos’altro ha da dimostrare Guè?
Una domanda che, incredibilmente,
continua ad essere soddisfatta dai lavori dell’autore stesso.
Tantissime le volte in cui si ascolta una nuova uscita del rapper
e si finisce col dire “Guè lo ha fatto ancora“,
ma con Madreperla la storia va oltre le aspettative.

Da Mr. Fini del 2020 Guè ha deciso di entrare
in una forma musicale dove l’hip hop è sempre più protagonista,
rispetto alle venature pop o trap che oggi straripano nel mainstream urban italiano.
Il mixtape del 2021 Fastlife 4 si è imposto con successo
come una schietta dichiarazione di intenti.


Guè nella cover di Madreperla si fa trovare in un luogo-simbolo della sua città Natale,
la Galleria Vittorio Emanuele II, con l’outfit in citazione a Nino Brown,
protagonista della pellicola-culto New Jack City.
Questo tipo di citazioni scannerizzano la profondità intellettuale che Guè
possiede quando si parla di hip hop.
Il suo talento nella musica parla da sé.
Uniamo a questi fattori uno degli artigiani migliori della musica rap, Bassi Maestro,
che decide di dedicarsi alla produzione
di una delle uscite più importanti della sua carriera,
sommando il suo genio sonoro alla sua illimitata knowledge musicale,
per un progetto fatto con passione.

Guè al microfono e Bassi alla produzione sono un dream team
che già ci aveva deliziato di tracce come Pequeno, intro del disco Vero,
o nel brano ispirato ai suoni della West Coast Fast Life,
contenuto in Fastlife 4.
Il potenziale di questa unione è immenso, e nel disco è pienamente raggiunto.

Madreperla di Guè è un disco culturale: recensione.
Il disco è fuori dai canoni odierni del rap italiano mainstream,
soprattutto perché non è semplicemente un disco rap,
è un disco di autentico stampo hip hop.
Dall’estetica ritratta, i campionamenti, i riferimenti musicali,
le performance del Guercio, tutto spinge verso una direzione
diversa dal rap trendy del momento,
a favore di un contenuto più autentico e originale, tendente al rap formalista.
Il risultato è egregiamente riuscito nella sua qualità ed unicità.
Se Marracash ha avuto il suo Persona, questo disco può essere l’equivalente per Guè:
un qualitativo blockbuster di autentica definizione artistica dell’autore.

Che Guè fosse particolarmente in forma lo si poteva intuire dalle sue apparizioni
come featuring che hanno preceduto il disco: tra tutte 6 Mesi di TY1.
Con una poetica intro cantautorale di Franco126 ed un’esecuzione incriticabile
del rapper napoletano J Lord, sopra una produzione bella forte,
Guè ha offerto una delle strofe più incisive della sua carriera,
dove evidenzia una verità non banale sul suo percorso:

Quindici anni di carriera, pesce tosto
L’unico rapper che non si è ancora fatto rubare il posto

La consistenza che ha mantenuto tra gli anni
è ciò che rende Guè fisso vincitore annuale di un campionato dove gioca da solo.
Con Madreperla l’impresa vera è stata superare un’aspettativa altissima
posta sul suo nome, saldo tra i più gettonati da decadi.

Musicalmente è un album hip hop tradizionalista,
ma a differenza del “bianco e nero” di Fastlife 4, Madreperla
è colorato da molteplici influenze nelle varie tracce,
provenienti da generi tra cui la disco music, la dancehall, l’R&B.
Il panorama musicale dell’album esplora diverse sonorità hip hop
mantenendo una coesione sonora:
Il lavoro fatto da Bassi è un totale “pezzo di bravura”.
La profondità di suono funge da carta più vincente di un album magistrale.
È uno di rari casi nel rap italiano dove il disco non ha nulla da invidiare
a paralleli progetti americani, chiaro esempio:
Da 1k In Su (ma di questo ne parleremo dopo).

Ciò che rende Madreperla magistrale, oltre al suo valore musicale,
è proprio il fatto che si tratta di un album culturale.
Non è un prodotto del momento, è un prodotto che va oltre al momento.
La nostra speranza è che un lavoro del genere scuota il panorama urban nostrano
alla portata del grande pubblico,
verso un’essenza, un suono, un approccio musicale
e un’attitudine necessaria, che col tempo purtroppo si è sbiadita.

Il disco contiene dodici tracce, per una durata essenziale ed incisa:
andiamo ora ad analizzarlo traccia per traccia:

Prefissi

Accompagnato da uno stellare video musicale, in Prefissi Guè apre le danze rappando su un’ottima, scura e schietta strumentale funkeggiante:

Brother, è da sempre che sto in mezzo a ste robe
Non per finta, non per metterlo su Insta

Segue una delle performance più tecniche del disco, dove il Guercio cita numerosi prefissi telefonici internazionali, per poi spiegarne come ci è collegato, tra affari loschi e stile di vita veloce.

Nel brano ricalca la sua gloria di strada, dichiarandosi una minaccia per chi gioca nel suo stesso campo del crimine, senza averne la stoffa.
Il brano è puro “bosseggiante” gangsta rap, dove Guè mostra la sua forma smagliante.
Nel ritornello si sente un’influenza ai primi lavori di 50 Cent, mentre l’arrangiamento del beat ricorda produzioni come B*tch Please di Snoop Dogg.

Prefissi è una gemma che imposta su che piano musicale sta il disco, aprendo le giostre in maniera ottima.

Tuta Maphia

Primo brano composto per l’album da Guè e Bassi, nonché motivo della genesi di tutto il disco, Tuta Maphia è un pezzo meraviglioso.
La produzione è massacrante: giro di piano dal tocco malandrino, abbinato alle liriche gangsta, con batterie schiaffeggianti.
Il sound è old school, col boom bap, mantenendo un suono che risulta contemporaneo. Il ritornello spinge e la strofa di Guè continua le tematiche del precedente, mantenendone la fotta e l’alto livello lirico:

Ogni giovane di strada mi è devoto
Quanti rapper ho trapassato come il remoto

Condannando i rapper che recitano ruoli da fake gangster e le usanze di moda nel rap più contrapposte ai valori radicati nella cultura, Guè rivendica con prepotenza il suo ruolo nel gioco.
Il ruolo della seconda strofa è stato affidato a Paky, uno che nelle rime, nella tecnica, nello stile, ed in generale nella massa artistica, non riuscirebbe a tenere testa gareggiando con capisaldi come Guè, o altri rapper con un imprinting tecnico.
Questo tipo di artisti non sono stati chiamati nel disco (ad eccezione di Marracash per un ritornello) e, in tracce come questa, avrebbero potuto presumibilmente elevare il valore artistico della canzone.
Tuttavia, a giudicare dalla gamma di collaborazioni optata per il disco, si percepisce come nel progetto ci fosse una volontà di unire la cultura hip hop autentica alle nuove generazioni e, in ogni caso, nulla delegittima al brano il fatto che sia una manata devastante.

Mi Hai Capito O No?

Madreperla continua la sua scia meravigliosa con uno dei suoi apici: Mi Hai Capito O No?.
Un brano splendido, dove la strumentale contiene un diretto sample dell’arrangiamento musicale dell’omonimo brano del 1981 di Ron, cover della più celebre I Can’t Go For That degli Hall & Oates.
Con l’aggiunta di uno scratch superbo, il brano è lucente, iper-ballabile, immerso in affluenze provenienti dalla musica disco.
Il testo offre uno storytelling di Guè su una ragazza, incontrata in una Chinatown, che riesce a gestire a suo piacimento le emozioni del rapper, nonostante le abilità di quest’ultimo come latin lover e uomo di strada di successo:

Rispetto in ogni distretto
Pensavo fossi in love col mio flow ma mi sveglio da solo nel letto
Ti rivedrò sfrecciare sopra un Range
Ma oggi non piange la tua revenge

L’iconografia dipinta nel testo è limpida e cinematografica, mantenendo la leggerezza del contenuto, ciò va a dimostrare le capacità mostruose della penna del Guercio.
Tra la citazione lirica ad Alan Sorrenti e il caratteristico ritornello con la voce campionata di Ron, è super-lodevole anche il freschissimo connubio tra hip hop dalle vibrazioni anni ’80, col tributo alla musica italiana dello scorso millennio che ha tracciato la cultura pop del nostro Paese.
Questo pezzo è brillante, universale, trasversale e attempato, senza aver bisogno di una profondità di messaggio alla Brivido.
Sicuramente uno dei momenti più vincenti dell’album.

Cookies N’ Cream

Tributando l’hip hop da club anni 2000, Cookies N’ Cream si rifà al sound reso iconico da classici come Candy Shop di 50 Cent e Yeah! di Usher.
È chiaro come il fulcro del brano sia l’esercizio di stile e l’attacco di Guè è esemplare. In un brano del genere, dove l’impegnativa lirica passa in secondo piano, a pieni voti prende spazio il lato più burlesco del Guercio (alla Il ragazzo d’oro), marchio di fabbrica del suo stile:

Tolgo questo ice dal frigo
Vuole farmi assaggiare come Bello Figo

Cookies N’ Cream è originale e orecchiabile, mantenendo l’ambizione di tradurre culturalmente formule musicali dell’hip hop a stelle e strisce.
La scelta di far apparire una rapper femminile come Anna, in una club banger edonista del genere, cerca – con le dovute proporzioni – di riprendere il ruolo che una Missy Elliot aveva in Work It.
La strofa il suo, ad eccezione di certe evitabili doppie voci urlate.
Sfera Ebbasta chiude il brano offrendo esattamente il lavoro richiesto, con un puro esercizio di flow scorrevole, melodioso ed egregiamente riuscito.

Need U 2nite

Bassi merita una standing ovation da tutto il panorama musicale italiano per aver prodotto certi capolavori di strumentali come questa: soffice ed elastica, dominata da un magnifico campionamento vocale del brano soft rock del ’79 Stay With Me Till Dawn di Judie Tzuke.
Massimo Pericolo nella prima strofa introduce la tematica del brano:

Mi ero perso
Senza una stella in tutto l’universo
E lo sono diventato io stesso

La strofa di Pericolo è profonda e riflessiva: la solitudine e l’alienazione dal proprio contesto sociale sono temi che vengono affrontati in modo motivazionale, dove le soluzioni proposte a questi traumi e dilemmi sono la fiducia in sé stessi, la perseveranza, il credere nelle proprie volontà rispettando le proprie scelte.
Gran bel messaggio.
Guè offre invece una prospettiva più pessimista dove non vede via d’uscita dagli ambienti deleteri per la sua vita, che hanno segnato in lui una tendenza quasi irrisolvibile nel fare la cosa sbagliata.
L’unica soluzione che vede è in una situazione amorosa che però si sta avvicinando alla fine.
Need U 2nite si certifica come un vertice di vulnerabilità e produzione in Madreperla.

Léon (The Professional)

Ispiratosi all’omonimo film francese, risulta uno dei brani più generici della tracklist.
Il contenuto gangster del disco viene affrontato senza infamia e senza lode.
Il beat è incassante ma, forse, è quello che meno lascia il segno rispetto alle strumentali da cui è circondato.
Per quanto il disco sia inciso, Léon dà l’idea di “canzone da riempimento”.
Se Tony contenuto in Santeria era colmo di citazioni al film che dava il nome al brano, qui le citazioni al film che lo intitola sono estremamente minimizzate, tanto che non viene nemmeno mai pronunciato il nome “Léon” nel brano.

All’ombra del Sempione, pimpin’ in Milan
Dopo solo due parole siamo già andati di là
Come Nipsey faccio hustle
Prendo questa pussy al balzo

Considerando l’assenza di un contenuto vero e proprio, il pezzo gioca più da esercizio di stile, tuttavia anche in questa prospettiva è abbastanza povero.
Le rime giocano facile con l’utilizzo massiccio dell’inglese e i giochi di parole non sono più di tanto ingegnosi.
La durata è abbastanza breve e nemmeno a livello ritmico riesce ad imporsi. In Madreperla può essere considerato uno degli skip più facili.

Free

A proposito di Santeria, la coppia Marracash e Guè torna nella vincente Free.
Il testo ruota attorno a un’importante critica al dominante pensiero del politicamente corretto.
Nella sua strofa Guè evidenzia l’ipocrisia di chi finge di combattere battaglie che non gli interessano per apparire eroico all’occhio pubblico, sottolineando quanto questi valori siano sostenuti da gente che “predica bene ma razzola male”:

Sto qua per il montepremi
Tu mangi fried chicken mentre fai body-shaming
E i moralisti fanno strisce, sì, sono così scemi
Che postano di Black Lives Matter, ma in realtà odiano i neri

Un rimprovero, pungente e diretto, verso la società basata sull’apparire dei social media, che arriva a toccare la paranoia dell’artista riguardante il mondo in cui crescerà sua figlia.
Questa paranoia è dettata da un’ottica dove, ai tempi di oggi, non si viva in un mondo progredito ma sempre più cinico e dittatoriale nei suoi standard contraddittori. Un’analisi interessante, che se facesse spuntare riflessioni individuali all’ascoltatore, agirebbe sicuramente con un tocco estremamente nobile.
Il ritornello è gestito da Marra, riassume questo concept in modo orecchiabile, sopra un beat classico con lievi sprazzi di chiptune.
Il livello musicale del brano viene declassato quando inizia Rkomi, con l’arrangiamento del beat che retrocede per adattarsi al mondo musicale di quest’ultimo, per una strofa poco memorabile ma comunque di livello superiore rispetto i suoi recenti standard.

Mollami pt.2

Primo singolo estratto dal disco, segue il filone dei brani dancehall di Guè, come Insta Lova, Milionario, Guersace e Oro.
Il brano è super ballabile e vivace ed è il modo perfetto per far respirare il disco al di fuori di batterie incassanti e strofe impegnative.
Casca facilmente all’orecchio come sia un rifacimento del brano Here Comes the Hotstepper di Ini Kamoze, interpolando la melodia del ritornello.
Con accezioni di g funk nel synth portante, è uno dei brani ritmicamente meglio riusciti tra questa categoria per il Guercio.
Fa chiaramente da sequel all’omonimo contenuto in Vero, che invece presentava sonorità molto rimandanti alla stilistica di artisti come Tyga e DJ Mustard.

Mo-mo-mollami, se poi mi parli solo di soldi
Attirerei soltanto la guardia e i balordi
Mentre tutti gli altri rapper sono in danger
Tengo la collana, brillo in mezzo alla gente

Quando il rapper si avventura nella dancehall, si sente che ha un bagaglio culturale abbastanza saldo sul genere che gli permette di farlo bene e Mollami pt.2 rientra sicuramente tra le dimostrazioni più chiare.
Questa ramificazione, inusuale nel panorama urban italiano ma massiccia nel panorama della musica black mondiale, è genuina e spesso ben riuscita, dando valore e carattere all’artisticità di Guè.

Lontano dai guai

Mahmood era apparso in Sinatra nella traccia bonus Doppio Whisky e in Mr. Fini nel brano pop-rap Tardissimo.
Entrambe le collaborazioni sono uscite di buona fattura ma a questo giro i due hanno fatto un vero e proprio capolavoro.
A volte capita che nella sua musica Mahmood sminuisca la sua voce per innocui singoloni pop che non valorizzano a pieno il suo talento: qui Guè ha tirato fuori il meglio dal cantante.
Un’esecuzione vocale R&B spettacolare, che flette le enormi capacità vocali di Mahmood, tra cui il suo delicato falsetto d’oro.
L’emozione traghettata dalla voce del cantante fa da contorno spesso alle strofe di Guè, dove affronta tribolazioni sulla sua vita privata, tra fama e il suo stile di vita edonista, scavando a fondo in un’introspezione toccante:

Mio padre se ne è andato senza vedermi che riempivo il Forum
Nessuna donna mi ha riempito il cuore
Notte indimenticabile, dimenticherò todo
Il club è pieno ma io sono vuoto

Bassi merita i suoi fiori per aver creato un altro capolavoro di strumentale, dal carattere soft, accarezzando soul e jazz.
Lontano Dai Guai è sicuramente uno dei momenti più preziosi della carriera di Guè.

Chiudi gli occhi

L’unica traccia che presenta alla produzione delle mani aggiuntive a quelle di Bassi, ossia quelle di Shablo, e si sente.
Chiudi gli occhi è il momento più pop del disco, e contiene un intelligente campionamento di Amore impossibile dei Tiromancino, che eleva a momenti il brano dal classico pop-rap radiofonico dove ristagna.
Nelle strofe il rapper si esibisce con stile nel narrare le complicazioni di una storia d’amore in prima persona:

Ogni sera uguale
Quella palla di fuoco che si spegne nel mare
Io me ne vado a male
Ferite con il sale, lo senti dalla voce nello stereo
Che sono high come un aereo

Il ritornello ha una melodia in pieno stampo pop contemporaneo italiano.
È abbastanza prevedibile ed edulcorata con una doppia voce femminile (di Rose Villain, che ce ne ha parlato qui) posta a correggere la voce primaria del Guercio, non abbastanza intonata per questo tipo di ritornello.
Al di fuori del campionamento dei Tiromancino questa canzone di qualitativo non offre più di tanto.
È una traccia che troverebbe sicuramente posto nelle radio e nelle AirPods di giovanissimi che magari non riescono a digerire il resto dell’album: ciò la porta ad essere un pochettino fuori contesto.

Da 1k in su

Era il 2015 quando aprendo la classifica di iTunes dal mio tablet trovai tra le prime posizioni un pezzo di Guè con Akon.
La mia reazione fu quella di esclamare “cosa!?“.
Collaborazioni internazionali con artisti del genere erano completamente inedite, bisogna dare credito a Guè: tra le tantissime cose che ha importato con la sua presenza nell’hip hop italiano, il featuring con la star dell’hip hop americano è una di quelle.
Nonostante questo, Interstellar (nome della collaborazione con Akon) non era propriamente un fiore all’occhiello nel disco che la conteneva (Vero).
Era palpabile come fosse un’unione forzata, quella produzione non era roba da Guè (difatti la canzone era uno scarto di Jason Derulo), e il testo, sebbene ben scritto, faticava in maniera evidente a scorrere sul beat.
L’unica cosa che rendeva la combo un attimino reale era l’intro dove Akon cantava: “Akon and g pequeno!“.
Comunque sia, era l’inizio di qualcosa che col tempo ha trovato sempre più spazio nel nostro music business, tra Sfera che collabora con Quavo e Lazza che duetta con Tory Lanez.
Tuttavia queste collaborazioni spesso hanno il tono di compitino fatto dall’artista americano unicamente per soldi.

Oggi è il 2023 e Guè resta avanti agli altri.
Da 1k In Su contiene il featuring di Benny the Butcher, astro della Griselda Records, ma qui non si tratta di “featuring internazionale”, qui si tratta di featuring vero e proprio.
Il brano si apre con Guè citare proprio l’anno in cui collaborò con Akon, dicendo:

Nel 2015 ho fatto il primo milione
Tu hai fatto la galera, bravo coglione

Bassi ha fatto un lavorone per un beat opaco, in piena concezione dell’unione di stile dei due rapper.
Ma soprattutto il beat non ha nulla da invidiare a nessuna produzione di Tana Talk 4 (ultimo album di Benny the Butcher), anzi potrebbe essere benissimo una strumentale di quel disco, facendosi spazio tra le altre.
Questo ha portato Benny a fare una strofa vera, di livello, d’impegno, che coronata assieme allo street rap eseguito al top di Guè, crea una delle collaborazioni internazionali musicalmente più memorabili dell’hip hop italiano.

Capa Tosta

Il disco si chiude con Capa Tosta, brano che strizza l’occhio al sound newyorkese, dove Guè esplora il suo lato più romantico.
Il pezzo figura la collaborazione con la nuova uscita discografica Napoleone, cantautore salernitano, che esegue ritornello e outro, fondendo R&B e canzone napoletana:

Santa Maria, come baci bene
Sotto ‘a stu cielo ‘e stelle
Nun succede ca nun succede,
Ma io so capa tosta

La collaborazione ricorda parallelismi americani come Puff Daddy e Usher in I Need a Girl, oppure Twista e Chris Brown in Make a Movie, per una formula musicale stra-usata negli USA, che in Italia è presente solo a strascichi.
La combo è senza dubbio trionfante, con Guè che flette il suo flow con spaventosa naturalezza e Napoleone che si esibisce confidentemente in un ritornello abbastanza impegnativo.
Una cosa, però, suscita particolare curiosità.
Il timbro di voce, lo stile di canto R&B, l’unione di frasi napoletane e inglesi: sono tutte cose in cui, questa nuova uscita Napoleone, è incredibilmente simile al cantante di identità anonima Liberato.
Le opzioni sono due: o dietro Liberato si cela l’identità di Napoleone, o quest’ultimo si è impegnato parecchio per fare un’imitazione alla Tale & quale show del più famoso artista.


In conclusione, Madreperla si certifica immediatamente come una delle uscite più importanti del rap italiano degli ultimi anni, arrivando ad essere considerato da una buona fetta del pubblico, già a pochi giorni dall’uscita, come l’album migliore pubblicato durante la carriera solista del Guercio.

In questo risultato è stato imprescindibile il lavoro di Bassi, che ha dato all’album quello che potrebbe essere discusso tra i tappeti musicali migliori del rap nostrano.

Guè ha detto che Madreperla è il disco che ha sempre voluto fare, che con la sua creazione si è trasformato in un sogno realizzato.
Sotto questa prospettiva i desideri del pubblico e dell’artista si sono incontrati nella realtà con Madreperla.


Articolo completo su:
https://www.rapologia.it/madreperla-gue-recensione-traccia-per-traccia/

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