Parlando con le persone profane al mondo della produzione,
si intuisce come l’idea più diffusa sul campionamento,
con l’utilizzo del campionatore, renda tutto più semplice
perché “non devi studiare la musica,
fa tutto il computer quindi non sei un musicista vero
“.

Sappiate che non è così, perché dal punto di vista tecnico,
il fatto di estrapolare un “campione” da una canzone
invece di suonare una parte inedita con uno strumento,
non vi solleverà dalla necessità di conoscere concetti basici
come tonalità, bpm, armonia
ed il campionatore è a tutti gli effetti uno strumento musicale
che per essere usato va studiato esattamente come una chitarra o un piano.

Dal punto di vista creativo poi,
per effettuare campionamenti efficaci e soprattutto non banali,
dovrete ascoltare musica di tutti i generi ed ascoltarne in continuazione
ed ascoltarla con il telefonino in mano,
per annotare ossessivamente il minuto ed il secondo esatto
in cui fissare il “punto di cue”.

Un lampante esempio di ecletticità nella scelta del campionamento
è il brano (Always be my) Sunshine di Jay-Z ed uscito il 16 Settembre 1997,
secondo singolo estratto dall’album In my Lifetime Vol. 1 per Roc-A-Fella Records:
il buon Jay per questo brano ha virtualmente viaggiato nello spazio e nel tempo:
Maggio 1978, i Kraftwerk,
gruppo elettronico tedesco pioniere dell’altra tecnica innovativa per fare musica,
la sintesi sonora, escono per King Klang Records,
in collaborazione con Columbia Records,
con un album che cambierà letteralmente il modo di fare musica
e che all’interno ospita il brano The Man-Machine,
il quale oltre a dare il nome all’album stesso,
regalerà a Jay-Z l’occasione di sfornare l’ennesima hit planetaria,
pescando però da un serbatoio totalmente inesplorato dai rapper
che fino a quel momento si erano limitati a depredare il Funky Soul degli anni ’70.

La passione di Jay-Z per la musica elettronica tedesca non finisce lì:
c’è un’altra prova evidente e, s’intitola Young Forever
estratto come terzo singolo dell’album The Blueprint 3 (solo per l’Europa) nel 2010
su Roc Nation.


Questo brano, infatti è “figlio” di Forever Young,
uscito nel Settembre 1984
come terzo singolo estratto dall’omonimo album degli Alphaville,
giovane gruppo New Wave.

Fabio Bartolo Rizzo meglio conosciuto come Marracash,
MC milanese di origine siciliana appartenente alla Dogo Gang
è sicuramente il rapper più competitivo
quando si affronta l’argomento della scrittura.
Nei testi Marra” mette sotto forma di testo tutta la rabbia
provata nel crescere in una città come Milano,
ma che potrebbe essere qualsiasi città moderna
in cui spesso a quanto pare sono i soldi a fare l’uomo,
in cui regna l’individualismo esasperato.
Rima delle pubblicità, dei luoghi comuni, del materialismo,
degli oggetti della società del benessere
che più che benessere semina frustrazione.
Ed è proprio questo forse il nucleo tematico della scrittura dell’artista,
anzi forse di tutta la sua poetica.
La frustrazione.

Il Principe della Barona,
il quartiere di provenienza è un punto di partenza, di fierezza
che crea forza e identità di questo rapper.
Con il gusto di essere se stessi,
di non vergognarsi delle proprie origini, famiglia, storia,
ma di marciarci sopra (e Marra lo fa forse fin troppo!),
prendendo la propria vita intera,
con tutte le schifezze e i grammi assunti,
e farne il proprio unico e irriproducibile punto di forza.
Puntarci tutto.
Per non essere un prodotto dell’ambiente da cui si proviene,
ma per fare in modo che l’ambiente sia un proprio prodotto.
Dritto al punto, senza filtri, e con un immaginario da giungla molto forte,
supportato dalla gente popolare e dalla gang dei Dogo,
che a Milano vuol dire Bollino Blu.

Marra in questi ultimi anni ha avuto la capacità
di riuscirsi a ritagliare un posto sui gradini più alti della scena Rap italiana
grazie a due dischi che hanno segnato una svolta
nella scrittura dei testi e nell’esposizione di un concept solido e ben articolato:
Persona” e “Noi, Loro, gli Altri“.
Fin dal titolo del disco (Persona), infatti, si comprende il filo conduttore del progetto,
ovvero il dualismo, dal quale deriva l’eterna lotta fra persona e personaggio,
alla ricerca di un’identità impossibile da definire pienamente.
15 brani da ascoltare tutti di un fiato, e tante collaborazioni,
9 per l’esattezza, scelte accuratamente dall’artista,
per far rendere l’album al massimo.
Ogni sua rima, ogni sua parola ha il proprio peso,
lasciando da parte la banalità e l’autocelebrazione, per dare spazio alle sensazioni.
Da non sottovalutare assolutamente è anche la denuncia sociale,
che non ha nulla di politico,
nulla di superficiale e non è mai scontata e fine a se stessa.

La forza solida delle produzioni Rap è unita a momenti di piena consapevolezza.
È percepibile, fra le righe, una voglia di rivalsa che contrasta con la cupezza,
una ricerca di speranza che si fa sempre più intensa.
L’autore si immerge nelle sensazioni lasciate dalle esperienze degli ultimi anni,
cercando venire a patti con il suo personaggio,
rifiutando, come sempre, l’omologazione per seguire un percorso del tutto personale.
Questo album è la prova che si può fare un Rap libero da imposizioni di mercato,
in cui si possono lasciare fluire i pensieri
per osservare con maggiore chiarezza cosa comporta oggi la popolarità
e il suo legame con l’immagine che le persone attribuiscono arbitrariamente.

Dopo “PersonaMarra riesce di nuovo a stupirci con un altro grandissimo disco:
Noi, Loro, gli Altri“.
Il disco, definito dall’artista un “Concept Album” come il suo predecessore,
ha alla base l’idea della divisione sociale.
Le tre copertine, una per ogni diversa versione del disco,
hanno lo scopo di identificare il gruppo di appartenenza di ogni individuo.
In questo nuovo album, il rapper di Barona ci racconta
la sua visione del mondo intorno a lui, ci parla di amici,
delle difficoltà che una persona può trovarsi ad affrontare,
della paura di perdere qualcuno di importante.
Solo nel brano “IO” troviamo una descrizione introspettiva già sentita in “Persona“.
Immagina di dover essere un rapper ed essere costretto ogni volta ad alzare il tiro.
Il concept del disco precedente era basato su “Persona” di Bergman,
il nuovo disco si orienta verso concetti di spersonalizzazione
e conflitti di classe a cui la società in cui viviamo ci obbliga,
ma la critica è rivolta anche agli stessi artisti delle nuove generazioni
che pensano solo alle views, ad essere famosi e a fare soldi,
che spesso fingono di appartenere “alla strada” solo per apparire più fighi,
ma in realtà risultano vuoti e senza background,
dove l’omologazione, le mode e il successo
restano gli unici obiettivi di una generazione
che non ha ancora storicizzato i propri valori.
Detto questo, musicalmente l’album funziona anche meglio di Persona
che già è un capolavoro, soprattutto nella parte iniziale.
Questa volta si apre con due ottime idee:
la banger LORO
e il campionamento di PAGLIACCIO
e si prosegue restando su ottimi livelli per tutto l’intero disco.
A differenza di “Persona“, troviamo solo 3 featuring,
ma scelti benissimo:
ovviamente non poteva mancare il pezzo con Gué, LOVE,
un brano sull’amicizia cantato sulla base di Infinity di Guru Josh;
Poi Calcutta e Blanco che cantano rispettivamente i ritornelli
di LAURA AD HONOREM e NEMESI.
In realtà ci sono anche delle collaborazioni nascoste,
Elodie in CRAZY LOVE,
Salmo e Joan Thiele in COSPLAYER, con quest’ultima anche in NOI,
e Fabri Fibra nella skit NOI, Loro E GLI ALTRI.
Noi, Loro e gli Altri è l’ennesimo passo avanti di un artista
che non deve più dimostrare niente,
ma che continua a sorprendere grazie alla sua scrittura esemplare.

Le liriche di Marra sono più personali che mai,
ma allo stesso tempo permettono una forte immedesimazione,
con l’utilizzo di immagini universali, vicine a tutti gli ascoltatori.
Forse Marra non riuscirà mai del tutto a vincere su Marracash,
ma sicuramente non perderà mai la fame artistica che lo spinge a fare sempre meglio,
perché la musica è un veicolo terapeutico potentissimo
per esprimere i meandri della propria personalità.

Negli anni ’80, quando il Rap inizia a staccarsi dalle feste di quartiere
per prendere una forma tutta sua,
grazie a mostri sacri del genere come Run DMC e LL Cool J
si iniziano a delineare i capisaldi della moda Hip Hop:
una carica di influenze provenienti dallo stile disco alla break dance
passando per l’attivismo.
Si iniziano ad indossare tute Adidas
con l’immancabile tripla striscia e appariscenti gioielli.
L’uniforme del rapper si arricchisce di accessori costosi
o rubati al mondo dello sportswear:
tra i must in questi anni figurano i cappellini da baseball New Era e i bucket hat,
gli anelli multifinger che formavano messaggi come “Love/Hate“,
enormi catene dorate, scarpe enfatizzate dai maxi lacci o portate direttamente senza.
Ma soprattutto, cambiano le proporzioni.
Se prima erano accettate anche silhouette più aderenti,
adesso i volumi diventano oversize, quindi sì a pantaloni baggy,
t-shirt e felpe molte taglie più grandi.
Il Rap dipinge immagini nitide delle vite ai margini, spaccati di una realtà cruda,
abbandonata dalle istituzioni e segnata dalla frustrazione per un sistema corrotto,
dalla povertà e al contempo da un bruciante desiderio di riscatto sociale,
per questo motivo anche gli indumenti possono rappresentare una rivalsa
per chi ha vissuto una vita in balìa del precariato e della povertà.

Gli anni ’80 sono un importante punto di svolta nel rapporto tra Rap e moda
anche per l’imponente proliferazione di brand
nati appositamente per soddisfare la scena Hip Hop:
è il caso di FUBU, leggendario marchio di abbigliamento creato da Daymond John,
oggi tra i più importanti investitori d’America.
FUBU nasce come un manifesto della black culture
e fa riferimento direttamente a chi si fa portavoce di quest’identità.
Il brand già da subito puntò a creare un legame empatico con il cliente
ed è per questo che funzionò in modo ottimale.
Tra cappelli, maglie e felpe, all’inizio degli anni ’90 il brand è un successo
e veste già tutti i rapper che contano, da Ol’Dirty Bastard agli NSYNC.

Nel 1982 nel mondo della moda inizia a farsi strada anche Dapper Dan,
che negli ultimi anni ha vissuto di nuova fama
grazie alla importante collaborazione con Gucci.
Tra i principali creatori dello stile Hip Hop, il designer aprì la sua boutique
nel cuore di Harlem, a due passi dal leggendario Apollo Theatre:
si trattava di uno spazio innovativo, aperto giorno e notte,
ventiquattro ore su ventiquattro.
È evidente come lo stile e la scelta degli indumenti da utilizzare
siano molto legate ai contesti storici vissuti in quel periodo.
Ciò nonostante questa evoluzione dello stile ha continuato a rivivere
fino ad oggi mutando forme e contenuti
attraverso l’uso delle piattaforme virtuali e dei social in particolare.
Ma mentre i rapper vecchia scuola andavano sempre di più verso lo stile classico
ed elegante (non era raro vederli in completi scuri, con giacca e cravatta),
nella scena odierna si trovano delle idee di moda decisamente più estreme e originali,
con accostamenti bizzarri e una certa ossessione per alcuni brand

La Trap, ad esempio può essere definita la variante contemporanea del Rap.
Ha basi elettroniche cupe e testi dilatati.
L’aspetto musicale è quasi secondario nel caso di questo genere.
E’ il tipo di mondo che si rappresenta
ed il personaggio che si interpreta
a farla da padrone,
ecco perché sono così importanti vestiti, scarpe, tatuaggi, capelli e accessori.

Se prendiamo come esempio uno dei più famosi in Italia,
Sfera Ebbasta, e guardiamo cosa indossa,
viene fuori un elenco lungo e curioso:
Gucci, Supreme, Nike, Yves Saint Laurent, Versace, Vans,
Adidas, Stella McCarteney, MSGM, Alpha Industries e potremmo continuare a lungo.
In una delle sue performance (al concerto del Primo Maggio) esibiva ben due Rolex,
ma anche un tanto improbabile, quanto fashion, marsupio molto stile anni ’80.

Il mix che ne viene fuori vede elementi streetwear, da rapper,
assieme a tocchi fashion di chi vuole esibire brand del lusso,
in stile swag, è uno stile difficile da definire ed interpretare
che possiamo capire solo se riusciamo ad integrarlo a tutto il contesto
legato ai vari social (Facebook, Instagram, TikTok).
Quindi scarpe Vans, ma con accessori Gucci, occhiali Versace e pantaloni Adidas,
elementi eleganti abbinati a capi per niente eleganti,
ma con un tocco eccentrico, e tutti insieme convivono
in uno stile che trova le sue influenze praticamente ovunque.

Dove i rapper non erano arrivati, ci sono arrivati i trapper:
Tatuaggi su tutto il corpo, anche e soprattutto sul volto,
la lacrima tatuata sotto l’occhio, le scritte “Hate” o “Love”,
pugnali, teschi, cuoricini, anche qui va bene tutto,
l’importante è esagerare.
treccine colorate, boccoli, rasature decorative e tinte oltraggiose e provocatorie. Questo lo stile della nuova scena.

L’estetica è quella dello spacciatore che ha fatto i soldi
e che si è riscattato fino al punto da non avere più bisogno di spacciare.
Il mondo che si racconta è quello:
cupo, drogato, ossessionato da moda e soldi, giovane e un po’ nichilista.
Un tipo di estetica che non poteva non piacere alla moda, e viceversa.
Parliamo di un mondo che vive su delle contraddizioni perenni
dove i giovani sono costantemente vittime dei disagi sociali
provocati da una società che tende deliberatamente
a tagliare fuori qualsiasi tipo di individuo.
Questo sistema esclusivo” piuttosto che “inclusivo
fa si che le nuove generazioni cerchino in tutti i modi di sfuggire
a determinati disagi sociali attraverso la musica e la moda,
esprimendo il loro totale disappunto verso il mondo che li circonda.

Se ci fermiamo, anche solo un attimo, a guardare indietro,
vengono i brividi al solo pensiero di quanti anni sono passati
dalla prima volta in cui abbiamo messo piede in uno studio di registrazione
e abbiamo avuto l’occasione di mettere le mani su un campionatore AKAI.

Al tempo un campione lo dovevi “tagliare” su un display monocromatico,
grande quanto un francobollo,
potevi “salvare” un numero limitato di campioni
e un campionatore aveva il costo pari a quello di un rene,
sul mercato nero degli organi.

Tutto questo non ha però impedito a questa tecnologia di prendere piede
fin dalla metà degli anni 80, soprattutto nella cultura Hip Hop
che ha fatto del campionamento una cifra distintiva,
pescando a mani piene nella musica Soul e R’n’B anni 60/70/80.

Oggi parliamo dei “The Delfonics“, un gruppo pioniere del “Philadelphia Soul
formatosi nel 1967 e ancora in attività nonostante un primo scioglimento nel 1975.
Tra le hit di questo gruppo spiccaReady or Not Here I Come (Can’t Hide from Love)“:
ascoltando l’intro della durata di due battute,
riconoscerete sicuramente la hit di sua maestà TimbalandSock it 2 Me“,
prodotta per la al tempo “esordienteMissy “Misdemeanor” Elliot
ed uscita sul mercato il 21 Ottobre 1997 per Elektra Records.

Proseguendo nell’ascolto, scoprirete che questo smielato brano d’amore,
uscito il 22 Ottobre del 1968 per Philly Groove Records,
non ha ispirato solo Timbaland:
è il 2 Settembre 1996 infatti, quando grazie alla Ruffhouse Records,
esce il brano di esordio dei FugeesReady or Not” che,
grazie ad un testo rivisitato in chiave street,
ed all’intro di “Boadicea”, brano scritto e interpretato dalla “fata celtica” Enya,
uscito il 2 Novembre del 97 per Warner Music UK,
preso in prestito per la creazione del beat,
riescono a regalarci una nuova versione più aggressiva di questo classico del Soul.

  • The DelfonicsReady or Not Here I Come (Can’t Hide from Love)
  • Enya – Boadicea (2009 Remaster)
  • Missy ElliottSock it 2 Me (feat. Da Brat)
  • FugeesReady or Not




(Kappa)

Il Rapper parla alle nuove generazioni
con un linguaggio crudo, semplice e immediato.
Il Rap ha avuto un forte impatto sulle nuove generazioni
che sentono e hanno voglia di esprimere un disagio interiore e sociale
e questo genere è un ottimo mezzo per comunicare e urlare
quello che non ci piace nella società.

La maggior parte dei Rapper sono persone che hanno vissuto un percorso difficile
ed hanno trovato nella musica uno strumento efficace per sfogarsi,
per superare i loro problemi, per esprimere i loro disagi.

July 1993

Non solo, riescono anche a leggere la società con tutte le sue contraddizioni.
I loro testi, le loro parole non hanno mezze misure.
Loro non vogliono essere poetici, ma vogliono lanciare messaggi,
in cui credono veramente,
in modo semplice e immediato, anche se molto spesso crudo.
Spesso dietro la loro immagine da arroganti e il loro stile sportivo o trasandato
si nasconde una grande sensibilità nel capire i disagi delle persone.

Di seguito una lista di libri sui Rapper
che hanno saputo distinguersi e ritagliarsi un posto nel mondo della musica.

1) Dietrologia. I soldi non finiscono mai di Fabri Fibra

2) Zero di Sfera Ebbasta

3) Sono io Amleto di Achille Lauro

4) Guérriero. Storie di sofisticata ignoranza di Gué Pequeno

5) Il tocco di Mida di Don Joe

6) Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile di Francesco Kento Carlo

7) Consigli a me stesso. I miei 2 centesimi di J-Ax

8) La profezia di Clementino. Quel che ho sognato tra Sud e Rap di Clementino e Diego Nuzzo

Il Rap è un genere che sa affrontare un’ampia gamma di tematiche
e l’argomento del sessismo è solo un piccolissimo aspetto di una cultura artistica
che possiede grandi capacità critiche ed espressive
e che ha già dimostrato ampiamente di sapersi mettere in discussione,
dimostrando di essere una cultura antisessista,
ma comunque affine a determinati valori musicali.
La cultura Hip-Hop rappresenta uno spazio di resistenza creativa dal basso,
uno sguardo decentrato che si eleva sulle narrazioni banali,
spesso soffermandosi su questioni legate a razza e classe,
ma definendo bene determinati confini
ed esprimendo di continuo il disagio collettivo attraverso un linguaggio aggressivo.
Sempre più spesso infatti questa cultura rappresenta e ha rappresentato
anche le lotte per i diritti delle donne,
citando solo alcune delle artiste che hanno contribuito alla causa
come Akua Naru, Sara Hebe, Keny Arkana, Ana Tijoux, Shadia Mansour, KT Gorique, Mc Manmeet Kaur.
Per tale motivo risulta paradossale l’accanimento verso il genere Rap,
un genere che si presta facilmente alle accuse rispetto ad altri generi più mainstream
anche per la storia che si porta dietro o, meglio,
per le storie che caratterizzano il tipo di scrittura utilizzato nei testi.

Il Rap ha un linguaggio diretto e schietto, nasce dalla marginalità.
Un genere capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi alternativi,
ma nello stesso tempo di riuscirci a riportare tutti con “i piedi per terra
stabilendo un reale contatto con i problemi che caratterizzano la vita dei quartieri.
Il Rap naturalmente non è solo politico,
ma si fa politica anche quando si pensa di non farla:
quando il linguaggio è sistematicamente misogino
questo è riscontrabile nell’immediato a tal punto da definire un immaginario preciso,
tale contesto per lo stesso e identico motivo
può essere interpretato in un modo differente,
questo perché i testi Rap al contrario degli altri generi musicali
sono molto più autobiografici.

Un altro interrogativo ricorrente riguarda il tema del cantante (Rap):
può un grande artista fare uso e consumo di un linguaggio misogino
per rappresentare la sua idea artistica
senza che essa venga censurata o colpita ingiustamente dalla critica?
È una questione di censura o, viceversa, di etica morale?
Qual è il confine di accettabilità del linguaggio sessista,
dal «semplice» uso di termini che invece non hanno assolutamente nulla di sessista?

Sono tutte domande che trovano la loro risposta in un unica domanda:
Siamo davvero convinti che contestualizzando i testi Rap
l’unica conclusione è che siano misogini?
Non credete sia stia davvero esagerando su questo tema
senza riuscire minimamente a considerare i contesti
in cui vengono utilizzate certe parole
ed il modo ironico di rappresentare l’universo femminile legato a quello maschile.
In realtà i consumatori svolgono un ruolo chiave in questo processo
in quanto fruitori di un prodotto condizionato dalle tendenze del momento:
lo scontro è quello per trovare l’equilibrio
tra ciò che l’artista vuole esprimere e ciò che il pubblico vuole ascoltare.
Spesso viene indicato questo tema come risposta
a chi predilige l’utilizzo di testi decisamente più provocatori,
ma che fondamentalmente non sta seguendo nessun tipo di strada
legata al marketing, ma segue semplicemente se stesso
e le esperienze vissute nel quotidiano,
questo perché i testi non fanno altro che ripercorrere il background dell’artista.

Nel brano Let Me Ride ad esempio,
Dr. Dre esprime «un elogio della vita gangsta»
e nel suo articolo U.Net aggiunge come a un certo punto
«da The Chronic in poi le etichette discografiche delimitarono la musica Rap
in una formula ben definita – sesso, droga e strada
questo perché la maggior parte dei rappers
affrontavano questi temi in modo deciso
avendo di persona vissuto determinati episodi nella loro vita
ed essendo strettamente legati a dinamiche familiari distruttive
che hanno inciso notevolmente sulla loro scrittura.
Questi testi riproducono un immaginario subalterno, articolato e creato dall’uomo che descrive la donna in un modo che potrebbe apparire misogino, ma in realtà,
chi si identifica in quel genere musicale
condivide in pieno quell’attitudine narrativa,
ed è soprattutto il genere femminile ad approvare tale narrazione
in quanto riesce tranquillamente a coglierne l’ironia di fondo
senza lasciarsi trasportare da giudizi estremi e preconcetti.
Per tale motivo, quando capita di ascoltare le critiche
dalle cosiddette vecchie generazioni verso la generazione Z
che riguardano principalmente i concetti e le parole usate nelle canzoni
ci rendiamo conto come certi “puristi del genere“,
in realtà, vivono questa esperienza in un modo del tutto contraddittorio
e che la loro posizione risulta essere basata su concetti
che sono totalmente in antitesi tra loro.
Basti pensare al dozens, pratica ricorrente nelle battle di freestyle
sfide verbali rituali che caratterizzano le situazioni di scontro nel Rap
in cui ci si insulta in rima finché uno non si arrende
e si tende a usare termini femminilizzati o omofobi
per mettere in dubbio la virilità degli stessi contendenti,
ma lo scopo finale resta principalmente ricreativo
e i contenuti sono una forma di linguaggio provocatoria
utilizzata per fini e scopi legati ad una competizione.

Potremmo prendere delle frasi di alcune canzoni famose
ed estrapolarle dal loro concetto totale
e suonerebbero decisamente sessiste.

Vasco Rossi
(‘è andata a casa con il negro la tro…’)

Colpa d’Alfredo

Afterhours
(‘sei più bella vestita di lividi’)

Lasciami leccare l’adrenalina

Marco Masini
(‘bella stronza, mi verrebbe di strapparti quei vestiti da putt…
e tenerti a gambe aperte
’)

Bella Stronza

Achille Lauro
(‘l’amore è un po’ ossessione, un po’ possesso.
carico la pistola e poi ti sparo in testa
’)

La Bella e la Bestia

Myss Keta
(‘toccami la gamba, passami la bamba, Jo sono la tua tro…’)».

Milano, Sushi e Coca

Tutte queste frasi non hanno senso
se vengono private del concetto essenziale
che può essere compreso solo ed esclusivamente
tenendo presente l’intero testo scritto dell’artista.
Finché non si agisce fisicamente,
il linguaggio è un puro esercizio di stile perché,
l’arte può avere un linguaggio esplicito ed il Rap, da sempre,
fa grande uso di elementi narrativi di finzione e immaginazione
che non rappresentano necessariamente il pensiero dell’artista,
ma che a volte servono per creare l’atmosfera giusta
per chi ascolta e chi apprezza questo genere musicale.
Essendo la musica Rap emersa dalle condizioni dei quartieri più malfamati
è comprensibile come nel tempo abbia assimilato anche un tipo di linguaggio
che non può assolutamente essere paragonato
al linguaggio utilizzato nella musica tradizionale.
La prostituzione di strada è presente in questi quartieri svantaggiati e marginali.
Chi vive in queste aree incontra ostacoli nella ricerca di lavoro
e la prostituzione così come il pimpin’
possono essere viste come strade alternative ai lavori di sfruttamento.
Esiste quindi una consapevolezza maggiore di chi racconta attraverso la musica
la vita dei quartieri, dando un’immagine spesso cruda, ma reale,
utilizzando un’ironia tagliente, ma efficace, sdoganando i tabù della società
e ridando speranza ad una narrazione musicale originale ed unica.

De Luca Italo Matteo

A differenza di gran parte della musica di largo consumo,
il Rap non viene suonato da strumenti musicali nel senso tradizionale del termine:
al posto di chitarre, basso e batteria,
viene utilizzato il campionatore, una macchina, o un software,
in grado di registrare frammenti da dischi,
CD o da qualsiasi tipo di fonte audio e di cucirli insieme
creando i tappeti musicali sui quali i rapper articolano le proprie rime.
L’approccio compositivo non è, quindi, quello del musicista,
ma quello del DJ.
Per creare le proprie canzoni si utilizza musica già registrata,
ricombinandola in modo originale.

Kool DJ Herc

Da genere di “nicchia” il Rap è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante
anche all’interno della musica italiana in generale.
Perfino una manifestazione canora come Sanremo
negli ultimi anni ha ospitato diversi rappers.
Va certo ricordato che il Rap più crudo a Sanremo stonerebbe comunque un po’.
Le canzoni presentate vengono sempre addolcite, confezionate e infiocchettate
in modo da essere più facilmente accessibili ai milioni di telespettatori
dai gusti eterogenei e dalle orecchie poco abituate
a raffiche di rime a tempo di rullante
Nonostante la nuova diffusione del genere musicale Rap,
quando invece parliamo di Hip Hop ci rendiamo conto che questa “cultura musicale
riguarda ancora un pubblico minore, ma pur sempre fedelissimo alla causa. 
La prima espressione che abbiamo conosciuto,
di quella che avremmo poi scoperto essere la cultura Hip Hop, è il Writing.
O meglio: le lettere giganti ed intrecciate
che vedevamo nascere sui muri della nostra Città,
sui vagoni dei treni locali e sotto i porticati delle case popolari
dove giravamo negli anni 2000.


L’eccessivo purismo dell’epoca ha individuato negli Articolo 31 e nei Sottotono
i principali capri espiatori, colpevoli di aver portato la musica al grande pubblico,
guadagnando anche del denaro, cosa inammissibile per la mentalità dell’epoca.
L’underground contro il commerciale è stato un tema caldo
fino ai primi anni del 2000.
In quegli anni, essere additati come “Sucker“, anche solo per gioco,
era il peggior insulto che un B-boy potesse ricevere.
All’epoca esistevano regole rigide che erano improntate su determinati valori
che risultavano essere fondamentali per il rispetto di quella cultura musicale.
 Il vero MC, inteso come “Maestro di Cerimonia
doveva avere delle caratteristiche ben precise.
La componente del messaggio è fondamentale,
così come la ricerca di uno stile personale, di una firma,
possedere un senso spiccato di intrattenimento, avere flow, metrica, rime originali.

Le discipline Hip Hop possono essere intese metaforicamente come uno sport,
dato l’elemento competitivo,
se pensiamo al breaking difficilmente si può parlare di una metafora.
Il breaking infatti è un’impegnativa attività fisica
che collega l’abilità tecnica e la forza muscolare del ginnasta,
unita alla sua tensione agonistica, con l’espressività della danza,
il tutto condensato in coreografie, similmente alle scritte elaborate dai writers,
destrutturate e sinuose allo stesso tempo.
Evolutasi come disciplina quasi esclusivamente maschile,
il breaking consente di dar sfogo al bisogno di esprimere la propria corporeità,
di metterla alla prova, mostrarsi e mostrare la propria forza fisica
valore molto sentito in tutte le culture di strada
in un contesto dove l’aggressività si relaziona inaspettatamente
con l’armonia ed il ritmo, la forza si modella e diviene forma,
dove il gesto violento si trasforma in comunicazione,
dove esercitandosi a dare forma al proprio corpo,
si attivano processi di cambiamento profondi.
Un altro importante aspetto del breaking è il fatto che sia una disciplina
praticata in strada, sia nei momenti di allenamento sia in quelli di esibizione.
Per gli adolescenti ciò li porta a rapportarsi in un modo inedito al contesto urbano.
La strada è luogo abituale di ritrovo,
protagonista di importanti momenti di svago e socialità

Le quattro discipline che constituiscono l’Hip Hop
e che hanno sviluppato nuove forme
pur restando sempre fedeli a determinati valori
sono fondamentali per la creazione di nuovi modelli musicali
a cui oggi si ispirano anche i veterani della musica Pop italiana.

I produttori di musica Rap, nella tradizione del djing Hip Hop,
utilizzano come materia prima per le proprie creazioni
i dischi ed i suoni che li circondano e che meglio conoscono
perché caratterizzano o hanno caratterizzato la propria vita:
dalle canzoni dei genitori ascoltate durante l’infanzia ai propri musicisti preferiti.
Rielaborando questi suoni, il produttore Hip Hop ripercorre la propria identità
ed il cut up, la tessitura meticcia che risulta nel prodotto finito,
si rivela un importante strumento per rappresentarsi,
per avere una visione sinottica e in qualche modo strutturata
del proprio essere molteplice.
Per questi ragazzi costruire basi di musica Hip Hop,
elaborando e ricombinando elettronicamente tale panorama di suoni,
vuol dire ridefinire la propria identità e creare uno specchio
nel quale vedersi e contenersi
senza dover per forza scegliere chi essere in una logica di esclusione.
Si tratta di una differenza di processo che ne determina un’importante peculiarità
non solo dal punto di vista strettamente musicale:
comporre basi di musica Rap costringe gli autori a confrontarsi
con frammenti del proprio vissuto e della propria esperienza,
con approccio trasformativo.
E’ facile notare come ciò possa divenire significativo, in particolare,
per gli adolescenti figli di immigrati,
per i quali la musica ascoltata in casa è quella del paese d’origine,
mentre quella che si fruisce attraverso il personale iPod
è tipica del luogo di vita attuale.
Il genere Hip Hop unisce le persone, fonde culture musicali
e dà vita a qualcosa di nuovo e di unico.
Nasce e si afferma come strumento di protesta
nelle mani di tutti quei membri della società, che si sentivano incompresi
La trasversalità, è il lato che amiamo di più dell’Hip Hop, perché,
al di là di ciò che ogni tanto diventa nelle mani delle “persone sbagliate”,
è un genere che ci obbliga ad interessarci a tutti quei suoni
che l’hanno composto, elevato, distinto.

L’Hip Hop è, inoltre, un orecchio attento sulla condizione della gente,
è l’arte del toasting, è puro groove.