Guè ha definito lo “storytelling” come la capacità di girare un film in rima.

Questa tecnica viene spesso sfruttata in ambito musicale
e quando usata bene rende la canzone magica,
capace di portarti nel mondo dell’artista.

In Italia, di canzoni riuscite, ce ne sono tantissime,
ma se dobbiamo sceglierne una su tutte è sicuramente “Serpi” di Jake la Furia,
uscita nel 2005.

In questo caso, la storia raccontata è quella dell’artista milanese,
del suo passato e della sua vita.

Per prepararci all’entrata del suo mondo, il rapper milanese,
ci regala un intro che riesce perfettamente in questo scopo.
Una volta partita la canzone verremo accompagnati
lungo la storia da una base Hip Hop dalla melodia malinconica.

Durante i 4 minuti e 43, Jake, ci racconta della sua adolescenza,
della situazione familiare, dei suoi problemi di dipendenza,
della vita di strada che ha caratterizzato una parte della sua esistenza.
Infine ci descrive anche la sua rivalsa, il suo successo
e come questo ha cambiato la sua vita.

Ogni parola è pesata, non c’è una barra meno significativa di un altra,
tutto è pensato e legato assieme alla perfezione.
Alla fine della canzone ti sembrerà di aver vissuto con Jake la sua esperienza.
Infatti è proprio per questo che è uno dei migliori esempi di storytelling italiano.

R. Kelly nasce a Chicago nel 1967 da una famiglia poco agiata,
ed è un bambino introverso, concentrato sulla musica che impara da autodidatta.
Ha difficoltà di apprendimento ed è vittima di bullismo.
Viene molestato da una familiare dai 7 ai 13 anni e, secondo lo stesso Kelly,
questo ha risvegliato i suoi ormoni molto prima del dovuto.

Space Jam

Negli anni ’90 diventa famoso, non solo come cantante
– è suo il successo “I Believe I Can Fly che è la colonna sonora di Space Jam
ma anche come produttore e songwriter.
Scrive anche “You Are Not Alone” per Michael Jackson
ed è stato il talent scout di Aaliyah, conosciuta quando lei aveva 12 anni e lui 25.

You Are Not Alone

Non è un caso se l’album di debutto di Aaliyah,
cantante dal talento sconfinato morta prematuramente a 22 anni,
viene scritto da R. Kelly e si intitola “Age Ain’t Nothing but a Number“.

Age Ain’t Nothing but a Number

Vincitore di Grammy, affascinante, ricco e famoso, predatore, manipolatore, sicuramente dotato di fiuto per gli affari e sensibilità artistica,
ha venduto oltre 75 milioni di dischi in tutto il mondo,
risultando l’artista di R&B maschile di maggior successo degli anni ’90
ed uno degli artisti musicali più venduti al mondo.
Nonostante la grande fama,
la vita di questo artista resta comunque avvolta da un alone di mistero
per i tanti enigmi ancora sconosciuti.

L’ex star, e stato riconosciuto colpevole
dopo essere stato dipinto dall’accusa come uno stupratore seriale
in grado di mantenere il controllo sulle sue vittime con qualsiasi inganno.
Gli avvocati di Kelly, avevano cercato di ottenere la pena più mite
invocando gli abusi che lo stesso cantante avrebbe subito anche in famiglia
durante l’infanzia, ma senza avere nessun riscontro positivo.

Durante il processo,
sono state presentate centinaia di prove scritte, videoregistrate e audioregistrate
degli abusi a cui l’imputato, con l’aiuto dei suoi dipendenti e collaboratori,
umiliava e manipolava le sue vittime.

Kelly adescava minori con i suoi soldi e la sua fama”,
riferisce una delle vittime identificata solo col nome di Angela,
che prosegue sostenendo: “Con ogni vittima diventavi più malvagio“,
ha attaccato la donna fissando il cantante negli occhi
per tutta la sua incredibile testimonianza.
“Usavi fama e potere per allevare ragazze e ragazzi minorenni
e asservirli alla tua gratificazione sessuale“. 

 Attraverso il movimento #MeToo,
diverse donne hanno trovato il coraggio di parlare
e raccontare ciò che in molti già sapevano ma che avevano fatto finta di non vedere. Questo segreto era rimasto nascosto per anni
grazie al fatto che il cantante godeva di una buona fama:
questa persona è stato in grado di rovinare la vita a decine di donne
e nel fare questo ha avuto totale “carta bianca“.

Il cantante è stato condannato da una giuria di New York a 30 anni,
per aver adescato donne e bambini
e per essere stato a capo di una rete criminale a Chicago
che reclutava donne sottoponendole ad abusi sessuali e psicologici.  

Il risultato positivo di questa battaglia legale
è stato possibile anche grazie al documentario:
R. Kelly: vittime di una popstar
che riesce a dare voce a chi per anni è stato messo a tacere,
dando un volto, un nome, delle emozioni a donne
che hanno dovuto subire violenze fisiche e psicologiche
fin dalla primissima adolescenza.
R. Kelly non era solo un uomo adulto, ma era anche ricco, potente e violento.
Questo fattore risulta essere essenziale,
in quanto spiega il motivo per cui l’artista sia riuscito per diversi anni a farla franca.

Durante il processo il cantante ha dovuto ascoltare le testimonianze di sette donne, molte delle quali in lacrime, che hanno ricordato la sofferenza
e le conseguenze degli abusi a cui erano state sottoposte.

Una delle vittime ha dichiarato:
“Ci riprendiamo i nostri nomi: Non siamo più le prede che eravamo una volta”.  

Le azioni e la condotta del cantante sono state deplorevoli
anche per le abilità manipolative e coercitive utilizzate nei momenti cruciali
che hanno caratterizzato i reati commessi.

 La condanna di Kelly è considerata una pietra miliare
per il movimento #MeToo in quanto è stato il primo grande processo
per abusi sessuali in cui la maggior parte delle accusatrici e vittime
erano donne afroamericane.
Inoltre delle nefandezze di Kelly si era speculato per anni,
ma nessuno era mai stato in grado di inchiodarlo.

Jamil, conosciuto anche come Jamil Baida.
Rapper classe ‘91, nato in Italia con origini persiane.
Appassionato di cinema, cura regia e montaggio di tutti i suoi videoclip musicali.
Conosciuto anche per la sua abilità nei dissing.
Dopo un disco ufficiale intitolato “Il Nirvana
e due mixtapeBlack Book” e “Black Book 2“,
fonda il suo gruppo ed etichetta indipendente Baida Army.
Pubblica l’album “Most Hated” e la Deluxe Edition, con cinque brani inediti.
Il suo terzo album ufficiale è “Rap Is Back“, un progetto personale e introspettivo,
per questo senza featuring.

FLOW è il nuovo album disponibile dal 27 Gennaio 2023.

Nel rap italiano Jamil è sempre stato una mosca bianca:
con il suo modo di fare provocatorio e diretto,
nel corso degli anni è stato protagonista di diversi dissapori
con esponenti più o meno conosciuti della scena,
attirando odio e facendosi diversi nemici in ambito musicale.
Chi è fan di Jamil lo è anche per questo suo modo di fare,
forse fin troppo schietto e senza filtri.

Dopo “Rap is Back” e “Most Hated“,
dove Jamil non aveva brillato in modo particolare
e si era beccato un bel po’ di critiche,
con “Flow” ci porta un disco più solido, diverso dagli altri,
anche se Jamil è sempre lo stesso,
anzi sembra essere in forma migliore rispetto all’ultimo progetto,
quasi come se avessimo a che fare con un nuovo Jamil.

Certo, il rapper è uno di quegli artisti che o li ami o li odi,
non è un artista da hit o che ascolti tanto per,
ma questa volta il disco risulta essere davvero coinvolgente.
Ascoltando bene le tracce ci sono diversi spunti interessanti,
così come notevoli sono i featuring, anche quelli pochi, ma efficaci.

Il disco non nasconde le sue intenzioni:
far risorgere l’artista dopo il flop del lavoro precedente.
Purtroppo “Rap is Back” risultava un disco senza novità,
con un Jamil poco ispirato o originale.
L’idea di prendersi l’enorme responsabilità
di riportare un genere che sulla carta funzionava alla perfezione,
ma nella realtà un po’ meno non fu un idea brillante.
Stavolta il rapper veronese ha saputo rimediare agli errori
e questo suo ritorno in gran stile non può che fare piacere.

Nel disco si riscontra un evidente riferimento al 2020
e a quell’album che sembrava l’avesse segnato irrimediabilmente (“Mamma Scusa”), collegandosi poi a quelli che sono gli intenti del nuovo progetto.
Flow” cambia rotta anche a livello di beat:
Jamil opta per produzioni diverse dalle solite,
anche per offrire nuovi stimoli all’ascoltatore,
puntando su sonorità morbide e senza esagerare con l’utilizzo dell’autotune.

Gli ospiti sono tanti e ben distribuiti all’interno della tracklist:
Fedez in “L’Odio“,
dove finalmente torna a rappare con una strofa molto diretta
e eclissa abilmente Jamil.
Inoki su BPM insolitamente bassi per lui,
Jake la Furia ed Emis Killa in due brani diversi tra loro,
ma comunque street (“Leader” e “Zona”),
Nayt in un banger clamoroso (“4AM”),
Mr. Rain in un brano dai toni delicati (“Siamo Qui”),
oltre a Nyv e Niko Pandetta rispettivamente presenti in “France” e “Sicario”.

Jamil da solo ha cercato di mantenere alto il livello
e con brani come “TN Squalo”, “Don’t Lie” e “Male
completa il quadro rendendo “Flow” un lavoro ben strutturato,
che riporta a galla le qualità di un artista spesso sottovalutato dal pubblico.

Il concept dell’album è concentrato sullo status guadagnato negli anni dal rapper
che, dopo un lungo periodo di attività, decide per una sperimentazione ben mirata,
ma che nello stesso tempo potesse mantenere il modo di scrivere
che ha sempre contraddistinto lo stile dell’artista.

A questo proposito, la necessità di accogliere nuove sonorità nel proprio repertorio
ha permesso a Jamil di far emergere un lato più introspettivo,
come testimonia il brano “Siamo Qui” con Mr. Rain e Sad.

Jamil è un artista che va giudicato in base al suo percorso complessivo.
Il brano “Mamma Scusa“, in cui il rapper sviscera il periodo tormentato in cui uscì l’ultimo criticato album “Rap is Back“, mette in luce il bisogno di sfogarsi e di raccontarsi: prerogative principali di “Flow
e del momento attuale vissuto da Jamil dopo due anni di pausa.

Il disco risulta essere piacevole all’ascolto
e mette in evidenza delle qualità canore dell’artista
che fino a questo momento ci erano sconosciute.
Jamil aveva sempre optato per uno stile decisamente meno “sonoro“.
La riuscita di questo lavoro sta anche nella capacità dell’artista di mettersi in gioco
e di accettare un cambio direzionale
per offrire al pubblico un esperienza emozionale nuova.
(I.M.D.L.)

L’omicidio di Tupac Shakur è rimasto irrisolto per oltre 25 anni
nonostante numerose persone abbiano puntato il dito contro il principale sospettato:
Orlando Anderson (persino suo zio Keefe D).
Nelle numerose interviste, nel documentario e nel libro
chiamato Compton Street Legend,
l’ex Crip ha ammesso di avere avuto un ruolo fondamentale nell’omicidio di Pac.

2Pac è stato ucciso a colpi di arma da fuoco il 7 Settembre 1996
vicino all’incrocio tra Flamingo e Koval a Las Vegas, Nevada.
Morì sei giorni dopo all’University Medical Center all’età di 26 anni.

Questo è quello che si sa per certo:
Tupac Shakur e Suge Knight, all’epoca CEO di Death Row Records,
si incontrarono per andare a vedere un incontro di Mike Tyson
all’MGM Grand di Los Angeles.
Nella hall del casinò, però, Shakur incrocia Orlando Anderson,
un membro della gang dei Crips.
I due si scontrano – con la partecipazione degli entourage di Shakur e Knight
ma la situazione rientra in poco tempo e ognuno va per la sua strada.
Più tardi Tupac e Knight salgono in macchina con l’intenzione di andare al Club 662,
un locale di proprietà del CEO di Death Row.
Durante il tragitto, però, una Cadillac bianca si affianca al veicolo
e un uomo (non identificato) fa fuoco.
Erano le 11 di sera.

Il rapper fu colpito quattro volte
– due proiettili nel torace, uno nel braccio e l’ultimo nella coscia –
e si ritrovò con il polmone destro perforato.
Knight, invece, ne è uscì praticamente illeso:
solo una piccola ferita sulla testa causata dalla scheggia di un proiettile. 

L’ omicidio è inquadrato nel contesto della radicale contrapposizione
tra West Coast e East Coast.
Due sound differenti, due filosofie concorrenti, due modi diversi intendere il rap:
per tutti gli anni ’90 West Coast e East Cost hanno diviso pubblico e addetti ai lavori,
generando un conflitto che è andato ben oltre il rap.

I protagonisti delle opposte fazioni erano due:
Tupac e Notorious B. I. G.
Sebbene fossero fino a poco tempo prima amici, Pac e Biggie,
a causa di tutta una serie di episodi,
entrano in una faida che resta ancora impressa nella memoria collettiva
di tutti gli appassionati dell’Hip Hop.
Diviene ovviamente memorabile il loro beef a suon di rime
che porta alla nascita di due tracce cult del genere:
Hit ‘Em Up di Pac e Who Shot Ya? di Biggie,
dove entrambi si insultano e minacciano esplicitamente di farsi fuori.

Hit ‘Em Up

I media, hanno sempre scelto di raccontare una storia suggestiva,
allontanando chiunque dalla verità.
Secondo i media, il colpevole era l’ex amico e rivale The Notorious B.I.G.;
i due hanno trovato il successo insieme all’inizio degli anni’ 90,
ma dopo qualche anno il rapporto si è incrinato,
travolto dalla storica rivalità tra East e West Coast.
Rivalità che sarebbe iniziata con Who Shot Ya?,
il pezzo di Biggie del ’94 che molti hanno interpretato come una diss track
per Shakur che, due anni dopo, ha risposto con Hit ‘Em Up,
in cui sembra raccontare una scappatella con Faith Evans,
la moglie di Biggie.

La Evans, qualche tempo dopo,
ha dichiarato che il marito era convinto che tutti lo incolpassero dell’omicidio
e aveva paura delle ritorsioni.
Biggie ha sempre negato.

Un’ altra teoria, anche questa difficile da provare,
dipinge Suge Knight come il vero colpevole della morte di Tupac.
C’è chi è convinto che il rapper fosse sul punto di fondare la sua etichetta
e Knight avrebbe orchestrato l’omicidio per impedirglielo.
L’uomo, però, ha sempre negato.
Non solo, in un documentario propone una quarta versione dei fatti:
Sharita Golden, la sua ex moglie, e Reggie Wright Jr.,
all’epoca capo della sicurezza di Death Row Records,
avrebbero organizzato l’assalto in cui è morto Tupac,
ma la vittima designata era proprio Knight.
Il movente?
I due volevano il controllo dell’etichetta.

Altra teoria poco plausibile riguarda le dichiarazioni di John Potash,
autore del libro-inchiesta FBI War on Tupac Shakur & Black Leaders,
secondo il quale, gli omicidi di Shakur e Notorious B.I.G.
sarebbero da configurarsi nell’ottica di un piano governativo
volto all’eliminazione di figure scomode nella lotta ai movimenti afroamericani
potenzialmente dannosi per la società
(come quanto accaduto negli anni ’60 con le Pantere Nere).
Sebbene Tupac non militasse in alcuna organizzazione per i diritti dei neri o simili,
il suo carisma avrebbe potuto risvegliare sentimenti antigovernativi sopiti negli anni,
specie per la natura dei suoi testi inneggianti la libertà, l’odio verso le autorità
e in generale la sua idea di vita Thug Life, molto contestata all’epoca.

A quasi ventidue anni dalla sua morte,
importanti rivelazioni sull’omicidio stanno ora emergendo
dalla confessione del rapper Keefe D.

 Keith David, in arte Keefe D, rapper e membro della gang losangelina dei Crips
dichiara: “Ero un boss di Compton, spacciavo droga
e sono l’unico vivo in grado di raccontare la storia dell’omicidio di Tupac.
Sono stato inseguito per vent’anni
e sto uscendo allo scoperto ora
perché ho il cancro.
Non ho nient’altro da perdere.
Tutto quello che mi interessa ora è la verità“. 

Durante un incontro del 2021 con The Art Of Dialogue, Keefe D,
si era in realtà già dichiarato colpevole, anzi complice,
in quanto presente in macchina quando Anderson
sparò i colpi mortali al rapper di Los Angeles.
Secondo quanto è stato riferito dal LVPD,
l’ex detective del dipartimento di polizia di Los Angeles Greg Kading,
ha ritenuto “inconcepibile” che Keefe D non fosse stato arrestato
a causa del suo evidente coinvolgimento nel crimine:
“Bisognerebbe arrestare Keefe D con l’accusa di complicità in omicidio,
sulla base delle sue numerose confessioni pubbliche“,
ha detto a The Sun, l’ex poliziotto. 

Anzi, le parole di Keefe D potrebbero ora costargli la libertà.
In una recente intervista con Bomb1st,
Reggie Wright Jr. ha suggerito che gli investigatori stanno scavando
nel coinvolgimento di Keefe D e potrebbero addirittura trascinarlo in prigione.

Wright ha suggerito che Keefe D ha tutte le ragioni per essere nervoso
perchè la polizia è effettivamente nel bel mezzo di un’indagine nei suoi confronti
che mirerebbe a dimostrare il suo coinvolgimento attivo nell’omicidio di 2Pac.
“Sarebbe quindi una decisione dell’ufficio del procuratore distrettuale
determinare se le prove sono sufficientemente forti per essere perseguite.
Il dipartimento di polizia può assolversi dalle proprie responsabilità
arrestando Keefe D e affidando la responsabilità al procuratore distrettuale,
a cui appartiene”.

È davvero incredibile come a distanza di anni
non si riesca ancora a fare luce sui tragici eventi che portarono alla morte di Tupac.
Nonostante i tantissimi testimoni la verità continua a restare sepolta.
Le ultime rivelazioni però tracciano una nuova direzione per le indagini,
dando a tutti noi la speranza che un giorno questo caso possa essere risolto.

(I.M.D.L.)

The Score” dei Fugees, disco simbolo dell’Hip-Hop anni ’90

Sono passati 27 anni da “The Score“,
un capolavoro che racconta la storia
di una giovane Lauryn Hill, di Wyclef Jean e di Pras Michel
che da soli si occuparono della scrittura
della maggior parte dei testi della produzione dei brani.

Lauryn Hill lo ha definito un “audio-film”
che racconta una storia anche con tagli e interruzioni nella musica.

Il “Sound” non è solo classico Boom Bap:
The Score è influenzato da più generi tutti riconducibili alla black music
(e noi della Stanza li apprezziamo tutti),
come l’R&B ma anche il Reggae,
evidenti in pezzi come “No Woman, No Cry” o “Zealots“.
I sample, poi, sono un altro punto di forza di un album
perfettamente curato dall’inizio alla fine.

Sebbene si tratti di un album rap uscito negli anni ’90,
nei testi di “The Score” si fa poco riferimento ai temi tipici di quegli anni.
La volontà era quella di dar vita a un tipo di arte
che tutti avrebbero potuto apprezzare.

Emblematica è una delle barre più famose di Lauryn Hill:
so while you’re imitating Al Capone, I’ll be Nina Simone
and defacating on your microphone
“.
Qui Lauryn manifesta un’importante presa di posizione:
quella di allontanarsi dagli stereotipi dei rapper duri
e mostra l’altra faccia della musica,
quella vicina a Nina Simone,
quella che vuole raccontare in maniera autentica un “qualcosa”.

Il secondo album dei Fugees è anche la consacrazione di Lauryn Hill.
La sua voce dolce e al tempo stesso tagliente
è ciò che ha permesso a “The Score” di diventare immortale.
La capacità di rappare ma anche quella di cantare
è stato l’aspetto che forse più di tutti ha permesso a Lauryn Hill di prendersi la scena.

Miglior Album Rap ai Grammys del 1996 e 7 platini (senza gli streaming),
The Score è l’album di un gruppo rap più venduto nella storia.
Ciò è stato possibile perchè i Fugees , con la loro forte personalità,
hanno abbattuto le barriere,
arrivando ad un pubblico anche al di fuori del mondo Hip-Hop.

L’aspetto incredibile è che anno dopo anno
sembra che il disco acquisisca sempre più valore,
come se con il passare del tempo si comprendessero meglio i suoi lati sconosciuti.
Ma è questa, in fondo, la bellezza di The Score:
un pezzo d’Arte che si scopre diverso
e per questo sempre più bello ascolto dopo ascolto

Durante tutti gli anni Settanta,
l’onda dello scandalo travolgeva la società italiana,
non solo per i costumi ed il modo di porsi dell’artista,
ma anche e soprattutto per i contenuti espliciti delle sue canzoni:
basti pensare a Metrò (Invenzioni, 1974),
in cui un uomo fa avances ad una donna sulla metropolitana;
alla celebre Mi Vendo (Zerofobia, 1977),
confessioni di un gigolò felice del suo mestiere;
a Fermoposta (EroZero, 1979),
in cui un voyeur (“schedato, per atti osceni segnalato”)
invita le “anime perverse” a corrispondere con lui.


Gli episodi scandalosi esistevano già in quel contesto storico
e soprattutto suscitavano negli spettatori sentimenti nuovi e mai provati prima.
Risulta quindi difficile accettare lo stupore di chi si scandalizza oggi
per un bacio tra Rosa Chemical e Fedez

Nelle 5 ore abbondanti a puntata,
condotte da Amadeus assieme allo storico Gianni Morandi,
coadiuvati da Francesca Fagnani, Paola Egonu e Chiara Ferragni,
di questa competizione canora,
tra ospiti e varia umanità in cui è successo di tutto
per la gioia del vastissimo pubblico televisivo,
l’unico episodio che ha avuto seguito è questo famoso bacio

Come se la trasgressione non fosse lecita
solo perché il contesto e il consenso non lo richiede.
La trasgressione è un gesto che riguarda il limite
e non fa nessun riferimento al consenso comune.
Limite e trasgressione devono l’uno all’altra la densità del loro essere.
Non c’è limite all’infuori del gesto che l’attraversa.
Non c’è gesto se non nell’oltrepassamento del limite. 

Quindi è lecito per artisti come Rosa Chemical oltrepassare quel limite.
Lo si può fare baciando Fedez
o lo si può fare indossando determinati indumenti o truccandosi vistosamente.

Trucco e paillettes sono stati per due decenni il marchio distintivo di Renato Zero:
un personaggio sopra le righe, provocatorio,
che racconta il mondo come nessuno aveva osato prima.
Quello che si è visto a Sanremo non è nulla di nuovo.
La vera novità sono artisti “innovativi”
come Madame, Lazza, Colapesce e Dimartino, Mr. Rain
che sono riusciti ad occupare i primi posti di un Sanremo
che, per quanto è cambiato negli ultimi anni,
resta comunque una competizione tradizionalista per diversi aspetti.
Questi artisti, giovani, sono riusciti a collocarsi nei gradini più alti della classifica
riuscendo a conquistare anche chi non è abituato a certe sonorità.
Il rap è riuscito anche in una dimensione totalmente inadeguata
a ritagliarsi un suo ruolo.
Spostare gran parte dell’attenzione su avvenimenti
che a primo impatto possono sembrare scandalosi,
non fa altro che diminuire l’ ascolto delle canzoni
che dovrebbero essere invece l’ unico motivo di discussione.
Questo sistema vale per la musica in generale,
in quanto oggi conta molto di più uno scandalo
che una performance artistica di qualsiasi tipo.
Il valore dell’arte è stato sottomesso dalla cultura del “Gossip“.
Oggi conta più la vita di un cantante attraverso le storie Instagram
e le varie piattaforme virtuali piuttosto che l’ arte che tenta di proporci.
Diventa davvero complicato individuare i veri artisti in base ai propri gusti
quando l’intera scena musicale è vittima della superficialità dell’ascoltatore. 

(I.M.D.L)

Con “No Bodyguard FreestyleANNA ha dimostrato,
ancora una volta,
di avere tutte le carte in regola
per diventare un punto di riferimento del rap italiano.

Tre anni fa, in giro per l’Italia risuonava un solo pezzo: BANDO.
ANNA aveva solamente 16 anni,
ma le sue rime su quel beat house diventato iconico
non passarono inosservate.

Il resto, lo sappiamo, è storia,
ma un successo così immediato ha delle conseguenze.
Gli occhi del pubblico e della scena erano tutti puntati su di lei:
c’era chi l’amava, si,
ma anche chi si chiedeva quando sarebbe crollata questa meteora.

Tante le aspettative, troppa la pressione,
ma dopo tre anni ANNA ha saputo mettere tutti a tacere.
Avrebbe potuto sfruttare l’hype a suo vantaggio, invece,
proprio nel momento in cui tutti le chiedevano di più,
ha deciso di rallentare e lavorare,
riuscendo così a imporsi
come una delle figure di spicco della nuova scena del rap italiano.

Il suo talento al microfono è evidente:
dai beat house, al sound reggaeton, dalle basi trap a quelle più classiche,
non sembra esistere un suono che non si sposi con la sua voce.
Quando rappa accanto ai pesi massimi della scena,
come nel caso di “Cookie’s N Cream“,
riesce sempre a lasciare la sua impronta,
come se facesse questa roba da una vita.

Cover Madreperla

Dallo sfornare classici dell’underground come Mi Fist con i Club Dogo,
per poi ridimensionare l’hip hop a Milano con lo stesso gruppo,
fino a comporre pietre miliari da solista durante la scorsa decade:
cos’altro ha da dimostrare Guè?
Una domanda che, incredibilmente,
continua ad essere soddisfatta dai lavori dell’autore stesso.
Tantissime le volte in cui si ascolta una nuova uscita del rapper
e si finisce col dire “Guè lo ha fatto ancora“,
ma con Madreperla la storia va oltre le aspettative.

Da Mr. Fini del 2020 Guè ha deciso di entrare
in una forma musicale dove l’hip hop è sempre più protagonista,
rispetto alle venature pop o trap che oggi straripano nel mainstream urban italiano.
Il mixtape del 2021 Fastlife 4 si è imposto con successo
come una schietta dichiarazione di intenti.


Guè nella cover di Madreperla si fa trovare in un luogo-simbolo della sua città Natale,
la Galleria Vittorio Emanuele II, con l’outfit in citazione a Nino Brown,
protagonista della pellicola-culto New Jack City.
Questo tipo di citazioni scannerizzano la profondità intellettuale che Guè
possiede quando si parla di hip hop.
Il suo talento nella musica parla da sé.
Uniamo a questi fattori uno degli artigiani migliori della musica rap, Bassi Maestro,
che decide di dedicarsi alla produzione
di una delle uscite più importanti della sua carriera,
sommando il suo genio sonoro alla sua illimitata knowledge musicale,
per un progetto fatto con passione.

Guè al microfono e Bassi alla produzione sono un dream team
che già ci aveva deliziato di tracce come Pequeno, intro del disco Vero,
o nel brano ispirato ai suoni della West Coast Fast Life,
contenuto in Fastlife 4.
Il potenziale di questa unione è immenso, e nel disco è pienamente raggiunto.

Madreperla di Guè è un disco culturale: recensione.
Il disco è fuori dai canoni odierni del rap italiano mainstream,
soprattutto perché non è semplicemente un disco rap,
è un disco di autentico stampo hip hop.
Dall’estetica ritratta, i campionamenti, i riferimenti musicali,
le performance del Guercio, tutto spinge verso una direzione
diversa dal rap trendy del momento,
a favore di un contenuto più autentico e originale, tendente al rap formalista.
Il risultato è egregiamente riuscito nella sua qualità ed unicità.
Se Marracash ha avuto il suo Persona, questo disco può essere l’equivalente per Guè:
un qualitativo blockbuster di autentica definizione artistica dell’autore.

Che Guè fosse particolarmente in forma lo si poteva intuire dalle sue apparizioni
come featuring che hanno preceduto il disco: tra tutte 6 Mesi di TY1.
Con una poetica intro cantautorale di Franco126 ed un’esecuzione incriticabile
del rapper napoletano J Lord, sopra una produzione bella forte,
Guè ha offerto una delle strofe più incisive della sua carriera,
dove evidenzia una verità non banale sul suo percorso:

Quindici anni di carriera, pesce tosto
L’unico rapper che non si è ancora fatto rubare il posto

La consistenza che ha mantenuto tra gli anni
è ciò che rende Guè fisso vincitore annuale di un campionato dove gioca da solo.
Con Madreperla l’impresa vera è stata superare un’aspettativa altissima
posta sul suo nome, saldo tra i più gettonati da decadi.

Musicalmente è un album hip hop tradizionalista,
ma a differenza del “bianco e nero” di Fastlife 4, Madreperla
è colorato da molteplici influenze nelle varie tracce,
provenienti da generi tra cui la disco music, la dancehall, l’R&B.
Il panorama musicale dell’album esplora diverse sonorità hip hop
mantenendo una coesione sonora:
Il lavoro fatto da Bassi è un totale “pezzo di bravura”.
La profondità di suono funge da carta più vincente di un album magistrale.
È uno di rari casi nel rap italiano dove il disco non ha nulla da invidiare
a paralleli progetti americani, chiaro esempio:
Da 1k In Su (ma di questo ne parleremo dopo).

Ciò che rende Madreperla magistrale, oltre al suo valore musicale,
è proprio il fatto che si tratta di un album culturale.
Non è un prodotto del momento, è un prodotto che va oltre al momento.
La nostra speranza è che un lavoro del genere scuota il panorama urban nostrano
alla portata del grande pubblico,
verso un’essenza, un suono, un approccio musicale
e un’attitudine necessaria, che col tempo purtroppo si è sbiadita.

Il disco contiene dodici tracce, per una durata essenziale ed incisa:
andiamo ora ad analizzarlo traccia per traccia:

Prefissi

Accompagnato da uno stellare video musicale, in Prefissi Guè apre le danze rappando su un’ottima, scura e schietta strumentale funkeggiante:

Brother, è da sempre che sto in mezzo a ste robe
Non per finta, non per metterlo su Insta

Segue una delle performance più tecniche del disco, dove il Guercio cita numerosi prefissi telefonici internazionali, per poi spiegarne come ci è collegato, tra affari loschi e stile di vita veloce.

Nel brano ricalca la sua gloria di strada, dichiarandosi una minaccia per chi gioca nel suo stesso campo del crimine, senza averne la stoffa.
Il brano è puro “bosseggiante” gangsta rap, dove Guè mostra la sua forma smagliante.
Nel ritornello si sente un’influenza ai primi lavori di 50 Cent, mentre l’arrangiamento del beat ricorda produzioni come B*tch Please di Snoop Dogg.

Prefissi è una gemma che imposta su che piano musicale sta il disco, aprendo le giostre in maniera ottima.

Tuta Maphia

Primo brano composto per l’album da Guè e Bassi, nonché motivo della genesi di tutto il disco, Tuta Maphia è un pezzo meraviglioso.
La produzione è massacrante: giro di piano dal tocco malandrino, abbinato alle liriche gangsta, con batterie schiaffeggianti.
Il sound è old school, col boom bap, mantenendo un suono che risulta contemporaneo. Il ritornello spinge e la strofa di Guè continua le tematiche del precedente, mantenendone la fotta e l’alto livello lirico:

Ogni giovane di strada mi è devoto
Quanti rapper ho trapassato come il remoto

Condannando i rapper che recitano ruoli da fake gangster e le usanze di moda nel rap più contrapposte ai valori radicati nella cultura, Guè rivendica con prepotenza il suo ruolo nel gioco.
Il ruolo della seconda strofa è stato affidato a Paky, uno che nelle rime, nella tecnica, nello stile, ed in generale nella massa artistica, non riuscirebbe a tenere testa gareggiando con capisaldi come Guè, o altri rapper con un imprinting tecnico.
Questo tipo di artisti non sono stati chiamati nel disco (ad eccezione di Marracash per un ritornello) e, in tracce come questa, avrebbero potuto presumibilmente elevare il valore artistico della canzone.
Tuttavia, a giudicare dalla gamma di collaborazioni optata per il disco, si percepisce come nel progetto ci fosse una volontà di unire la cultura hip hop autentica alle nuove generazioni e, in ogni caso, nulla delegittima al brano il fatto che sia una manata devastante.

Mi Hai Capito O No?

Madreperla continua la sua scia meravigliosa con uno dei suoi apici: Mi Hai Capito O No?.
Un brano splendido, dove la strumentale contiene un diretto sample dell’arrangiamento musicale dell’omonimo brano del 1981 di Ron, cover della più celebre I Can’t Go For That degli Hall & Oates.
Con l’aggiunta di uno scratch superbo, il brano è lucente, iper-ballabile, immerso in affluenze provenienti dalla musica disco.
Il testo offre uno storytelling di Guè su una ragazza, incontrata in una Chinatown, che riesce a gestire a suo piacimento le emozioni del rapper, nonostante le abilità di quest’ultimo come latin lover e uomo di strada di successo:

Rispetto in ogni distretto
Pensavo fossi in love col mio flow ma mi sveglio da solo nel letto
Ti rivedrò sfrecciare sopra un Range
Ma oggi non piange la tua revenge

L’iconografia dipinta nel testo è limpida e cinematografica, mantenendo la leggerezza del contenuto, ciò va a dimostrare le capacità mostruose della penna del Guercio.
Tra la citazione lirica ad Alan Sorrenti e il caratteristico ritornello con la voce campionata di Ron, è super-lodevole anche il freschissimo connubio tra hip hop dalle vibrazioni anni ’80, col tributo alla musica italiana dello scorso millennio che ha tracciato la cultura pop del nostro Paese.
Questo pezzo è brillante, universale, trasversale e attempato, senza aver bisogno di una profondità di messaggio alla Brivido.
Sicuramente uno dei momenti più vincenti dell’album.

Cookies N’ Cream

Tributando l’hip hop da club anni 2000, Cookies N’ Cream si rifà al sound reso iconico da classici come Candy Shop di 50 Cent e Yeah! di Usher.
È chiaro come il fulcro del brano sia l’esercizio di stile e l’attacco di Guè è esemplare. In un brano del genere, dove l’impegnativa lirica passa in secondo piano, a pieni voti prende spazio il lato più burlesco del Guercio (alla Il ragazzo d’oro), marchio di fabbrica del suo stile:

Tolgo questo ice dal frigo
Vuole farmi assaggiare come Bello Figo

Cookies N’ Cream è originale e orecchiabile, mantenendo l’ambizione di tradurre culturalmente formule musicali dell’hip hop a stelle e strisce.
La scelta di far apparire una rapper femminile come Anna, in una club banger edonista del genere, cerca – con le dovute proporzioni – di riprendere il ruolo che una Missy Elliot aveva in Work It.
La strofa il suo, ad eccezione di certe evitabili doppie voci urlate.
Sfera Ebbasta chiude il brano offrendo esattamente il lavoro richiesto, con un puro esercizio di flow scorrevole, melodioso ed egregiamente riuscito.

Need U 2nite

Bassi merita una standing ovation da tutto il panorama musicale italiano per aver prodotto certi capolavori di strumentali come questa: soffice ed elastica, dominata da un magnifico campionamento vocale del brano soft rock del ’79 Stay With Me Till Dawn di Judie Tzuke.
Massimo Pericolo nella prima strofa introduce la tematica del brano:

Mi ero perso
Senza una stella in tutto l’universo
E lo sono diventato io stesso

La strofa di Pericolo è profonda e riflessiva: la solitudine e l’alienazione dal proprio contesto sociale sono temi che vengono affrontati in modo motivazionale, dove le soluzioni proposte a questi traumi e dilemmi sono la fiducia in sé stessi, la perseveranza, il credere nelle proprie volontà rispettando le proprie scelte.
Gran bel messaggio.
Guè offre invece una prospettiva più pessimista dove non vede via d’uscita dagli ambienti deleteri per la sua vita, che hanno segnato in lui una tendenza quasi irrisolvibile nel fare la cosa sbagliata.
L’unica soluzione che vede è in una situazione amorosa che però si sta avvicinando alla fine.
Need U 2nite si certifica come un vertice di vulnerabilità e produzione in Madreperla.

Léon (The Professional)

Ispiratosi all’omonimo film francese, risulta uno dei brani più generici della tracklist.
Il contenuto gangster del disco viene affrontato senza infamia e senza lode.
Il beat è incassante ma, forse, è quello che meno lascia il segno rispetto alle strumentali da cui è circondato.
Per quanto il disco sia inciso, Léon dà l’idea di “canzone da riempimento”.
Se Tony contenuto in Santeria era colmo di citazioni al film che dava il nome al brano, qui le citazioni al film che lo intitola sono estremamente minimizzate, tanto che non viene nemmeno mai pronunciato il nome “Léon” nel brano.

All’ombra del Sempione, pimpin’ in Milan
Dopo solo due parole siamo già andati di là
Come Nipsey faccio hustle
Prendo questa pussy al balzo

Considerando l’assenza di un contenuto vero e proprio, il pezzo gioca più da esercizio di stile, tuttavia anche in questa prospettiva è abbastanza povero.
Le rime giocano facile con l’utilizzo massiccio dell’inglese e i giochi di parole non sono più di tanto ingegnosi.
La durata è abbastanza breve e nemmeno a livello ritmico riesce ad imporsi. In Madreperla può essere considerato uno degli skip più facili.

Free

A proposito di Santeria, la coppia Marracash e Guè torna nella vincente Free.
Il testo ruota attorno a un’importante critica al dominante pensiero del politicamente corretto.
Nella sua strofa Guè evidenzia l’ipocrisia di chi finge di combattere battaglie che non gli interessano per apparire eroico all’occhio pubblico, sottolineando quanto questi valori siano sostenuti da gente che “predica bene ma razzola male”:

Sto qua per il montepremi
Tu mangi fried chicken mentre fai body-shaming
E i moralisti fanno strisce, sì, sono così scemi
Che postano di Black Lives Matter, ma in realtà odiano i neri

Un rimprovero, pungente e diretto, verso la società basata sull’apparire dei social media, che arriva a toccare la paranoia dell’artista riguardante il mondo in cui crescerà sua figlia.
Questa paranoia è dettata da un’ottica dove, ai tempi di oggi, non si viva in un mondo progredito ma sempre più cinico e dittatoriale nei suoi standard contraddittori. Un’analisi interessante, che se facesse spuntare riflessioni individuali all’ascoltatore, agirebbe sicuramente con un tocco estremamente nobile.
Il ritornello è gestito da Marra, riassume questo concept in modo orecchiabile, sopra un beat classico con lievi sprazzi di chiptune.
Il livello musicale del brano viene declassato quando inizia Rkomi, con l’arrangiamento del beat che retrocede per adattarsi al mondo musicale di quest’ultimo, per una strofa poco memorabile ma comunque di livello superiore rispetto i suoi recenti standard.

Mollami pt.2

Primo singolo estratto dal disco, segue il filone dei brani dancehall di Guè, come Insta Lova, Milionario, Guersace e Oro.
Il brano è super ballabile e vivace ed è il modo perfetto per far respirare il disco al di fuori di batterie incassanti e strofe impegnative.
Casca facilmente all’orecchio come sia un rifacimento del brano Here Comes the Hotstepper di Ini Kamoze, interpolando la melodia del ritornello.
Con accezioni di g funk nel synth portante, è uno dei brani ritmicamente meglio riusciti tra questa categoria per il Guercio.
Fa chiaramente da sequel all’omonimo contenuto in Vero, che invece presentava sonorità molto rimandanti alla stilistica di artisti come Tyga e DJ Mustard.

Mo-mo-mollami, se poi mi parli solo di soldi
Attirerei soltanto la guardia e i balordi
Mentre tutti gli altri rapper sono in danger
Tengo la collana, brillo in mezzo alla gente

Quando il rapper si avventura nella dancehall, si sente che ha un bagaglio culturale abbastanza saldo sul genere che gli permette di farlo bene e Mollami pt.2 rientra sicuramente tra le dimostrazioni più chiare.
Questa ramificazione, inusuale nel panorama urban italiano ma massiccia nel panorama della musica black mondiale, è genuina e spesso ben riuscita, dando valore e carattere all’artisticità di Guè.

Lontano dai guai

Mahmood era apparso in Sinatra nella traccia bonus Doppio Whisky e in Mr. Fini nel brano pop-rap Tardissimo.
Entrambe le collaborazioni sono uscite di buona fattura ma a questo giro i due hanno fatto un vero e proprio capolavoro.
A volte capita che nella sua musica Mahmood sminuisca la sua voce per innocui singoloni pop che non valorizzano a pieno il suo talento: qui Guè ha tirato fuori il meglio dal cantante.
Un’esecuzione vocale R&B spettacolare, che flette le enormi capacità vocali di Mahmood, tra cui il suo delicato falsetto d’oro.
L’emozione traghettata dalla voce del cantante fa da contorno spesso alle strofe di Guè, dove affronta tribolazioni sulla sua vita privata, tra fama e il suo stile di vita edonista, scavando a fondo in un’introspezione toccante:

Mio padre se ne è andato senza vedermi che riempivo il Forum
Nessuna donna mi ha riempito il cuore
Notte indimenticabile, dimenticherò todo
Il club è pieno ma io sono vuoto

Bassi merita i suoi fiori per aver creato un altro capolavoro di strumentale, dal carattere soft, accarezzando soul e jazz.
Lontano Dai Guai è sicuramente uno dei momenti più preziosi della carriera di Guè.

Chiudi gli occhi

L’unica traccia che presenta alla produzione delle mani aggiuntive a quelle di Bassi, ossia quelle di Shablo, e si sente.
Chiudi gli occhi è il momento più pop del disco, e contiene un intelligente campionamento di Amore impossibile dei Tiromancino, che eleva a momenti il brano dal classico pop-rap radiofonico dove ristagna.
Nelle strofe il rapper si esibisce con stile nel narrare le complicazioni di una storia d’amore in prima persona:

Ogni sera uguale
Quella palla di fuoco che si spegne nel mare
Io me ne vado a male
Ferite con il sale, lo senti dalla voce nello stereo
Che sono high come un aereo

Il ritornello ha una melodia in pieno stampo pop contemporaneo italiano.
È abbastanza prevedibile ed edulcorata con una doppia voce femminile (di Rose Villain, che ce ne ha parlato qui) posta a correggere la voce primaria del Guercio, non abbastanza intonata per questo tipo di ritornello.
Al di fuori del campionamento dei Tiromancino questa canzone di qualitativo non offre più di tanto.
È una traccia che troverebbe sicuramente posto nelle radio e nelle AirPods di giovanissimi che magari non riescono a digerire il resto dell’album: ciò la porta ad essere un pochettino fuori contesto.

Da 1k in su

Era il 2015 quando aprendo la classifica di iTunes dal mio tablet trovai tra le prime posizioni un pezzo di Guè con Akon.
La mia reazione fu quella di esclamare “cosa!?“.
Collaborazioni internazionali con artisti del genere erano completamente inedite, bisogna dare credito a Guè: tra le tantissime cose che ha importato con la sua presenza nell’hip hop italiano, il featuring con la star dell’hip hop americano è una di quelle.
Nonostante questo, Interstellar (nome della collaborazione con Akon) non era propriamente un fiore all’occhiello nel disco che la conteneva (Vero).
Era palpabile come fosse un’unione forzata, quella produzione non era roba da Guè (difatti la canzone era uno scarto di Jason Derulo), e il testo, sebbene ben scritto, faticava in maniera evidente a scorrere sul beat.
L’unica cosa che rendeva la combo un attimino reale era l’intro dove Akon cantava: “Akon and g pequeno!“.
Comunque sia, era l’inizio di qualcosa che col tempo ha trovato sempre più spazio nel nostro music business, tra Sfera che collabora con Quavo e Lazza che duetta con Tory Lanez.
Tuttavia queste collaborazioni spesso hanno il tono di compitino fatto dall’artista americano unicamente per soldi.

Oggi è il 2023 e Guè resta avanti agli altri.
Da 1k In Su contiene il featuring di Benny the Butcher, astro della Griselda Records, ma qui non si tratta di “featuring internazionale”, qui si tratta di featuring vero e proprio.
Il brano si apre con Guè citare proprio l’anno in cui collaborò con Akon, dicendo:

Nel 2015 ho fatto il primo milione
Tu hai fatto la galera, bravo coglione

Bassi ha fatto un lavorone per un beat opaco, in piena concezione dell’unione di stile dei due rapper.
Ma soprattutto il beat non ha nulla da invidiare a nessuna produzione di Tana Talk 4 (ultimo album di Benny the Butcher), anzi potrebbe essere benissimo una strumentale di quel disco, facendosi spazio tra le altre.
Questo ha portato Benny a fare una strofa vera, di livello, d’impegno, che coronata assieme allo street rap eseguito al top di Guè, crea una delle collaborazioni internazionali musicalmente più memorabili dell’hip hop italiano.

Capa Tosta

Il disco si chiude con Capa Tosta, brano che strizza l’occhio al sound newyorkese, dove Guè esplora il suo lato più romantico.
Il pezzo figura la collaborazione con la nuova uscita discografica Napoleone, cantautore salernitano, che esegue ritornello e outro, fondendo R&B e canzone napoletana:

Santa Maria, come baci bene
Sotto ‘a stu cielo ‘e stelle
Nun succede ca nun succede,
Ma io so capa tosta

La collaborazione ricorda parallelismi americani come Puff Daddy e Usher in I Need a Girl, oppure Twista e Chris Brown in Make a Movie, per una formula musicale stra-usata negli USA, che in Italia è presente solo a strascichi.
La combo è senza dubbio trionfante, con Guè che flette il suo flow con spaventosa naturalezza e Napoleone che si esibisce confidentemente in un ritornello abbastanza impegnativo.
Una cosa, però, suscita particolare curiosità.
Il timbro di voce, lo stile di canto R&B, l’unione di frasi napoletane e inglesi: sono tutte cose in cui, questa nuova uscita Napoleone, è incredibilmente simile al cantante di identità anonima Liberato.
Le opzioni sono due: o dietro Liberato si cela l’identità di Napoleone, o quest’ultimo si è impegnato parecchio per fare un’imitazione alla Tale & quale show del più famoso artista.


In conclusione, Madreperla si certifica immediatamente come una delle uscite più importanti del rap italiano degli ultimi anni, arrivando ad essere considerato da una buona fetta del pubblico, già a pochi giorni dall’uscita, come l’album migliore pubblicato durante la carriera solista del Guercio.

In questo risultato è stato imprescindibile il lavoro di Bassi, che ha dato all’album quello che potrebbe essere discusso tra i tappeti musicali migliori del rap nostrano.

Guè ha detto che Madreperla è il disco che ha sempre voluto fare, che con la sua creazione si è trasformato in un sogno realizzato.
Sotto questa prospettiva i desideri del pubblico e dell’artista si sono incontrati nella realtà con Madreperla.


Articolo completo su:
https://www.rapologia.it/madreperla-gue-recensione-traccia-per-traccia/

Nel 2016 in Italia inizia a diffondersi la TRAP sottogenere dell’ Hip Hop nato nel sud degli Stati Uniti e sviluppatosi tra la fine degli anni novanta fino al 2000.

I precursori della Trap in Italia invece furono SFERA EBBASTA e CHALRLI CHARLES, anche se si ritiene che il primo album italiano con alcune sonorità trap sia stato Il ragazzo d’oro di Gué Pequeno del 2011.


Il vero momento epico per la trap in Italia arriva con l’album XDVR del rapper milanese Sfera Ebbasta , prodotto interamente da Charlie Charles, uscito nel giugno 2015 Disco ispirato alla musica statunitense e francese del genere, in particolare per quanto riguarda le sonorità e il mood fino a quel momento in Italia sconosciute. Contemporaneamente, nella scena hip hop romana si delinea il profilo della Dark Polo Gang prodotta da Sick Luke, che riesce in pochissimo tempo ha ritagliarsi un ruolo fondamentale nella nuova scena italiana.


Successivamente uscirono fuori nomi come quello di Ghali, Capo Plaza Izi, Rkomi e Tedua: frequenti collaboratori di produttori e rapper ( Charlie Charles, Sick Luke, Sfera Ebbasta e Dark Polo) considerati anche loro esponenti della cosiddetta nuova scuola dell’hip hop italiano, nonostante un sempre più progressivo distanziamento dalla trap verso sonorità più pop. Tra le donne che possono essere ricordate nella musica trap italiana ci sono Chadia Rodríguez, Leslie (Lisa Cardoni), Beba, Comagatte, Madame. Genere che ha cmq reso possibile la partecipazione del sesso femminile in modo attivo e significativo.


Dopo la trap, è l’ora della drill, sottogenere del rap, seguendo l’esempio di Francia e Gran Bretagna è giunta da noi con gli stessi suoni e le tematiche che la caratterizzano all’estero. Testi malinconici ed esibizione del lusso: rap che non può prescindere da questi due fattori. Genere che è soprannominato “trap nichilista” : sono rappers che raccontano della loro vita difficile nelle periferie d’Italia e di un passato spesso legato alla malavita per il disagio vissuto nei quartieri più poveri delle metropoli. La maggior parte di questi Trapper sono giovani che in questi anni hanno dominato le classifiche e che hanno sempre etichettato i vecchi
RAPPERS come datati e a rischio estinzione.

Oggi la realtà racconta una storia diversa e la nuova generazione è meno forte di qualche anno fa. La trap è durata davvero poco! Non ha saputo rinnovarsi. Non è riuscita a trovare i canali giusti per restare sempre in voga. Sono i quarantenni, infatti, che stanno dominando ora la scena riportando il Rap nei piani alti. Nel 2019 “Persona” di Marracash è stato fondamentale e ha gettato le basi per il ritorno ad un rap di contenuto, di riflessione ma sicuramente non “conservatore” in quanto nei lavoro di Marra sono presenti sonorità attualissime.


Sulla stessa scia di Marra sono riusciti a distinguersi rappers (tutti quarantenni) come Salmo, Guè Pequegno, Noyz Narcos, Gemitaiz,Inoki. Sono riusciti a riportare il pubblico ad ascoltare nuovamente un disco. Abitudine che negli anni si era persa. Attraverso i loro album ricchi di stile e rime tipiche della loro scuola di provenienza (hip hop) e attraverso i contenuti sempre più profondi e originali sono riusciti ad opporsi in modo intelligente ad una nuova generazione che stava comunque spingendo dal basso ma che ormai è destinata ad estinguersi. Questo a dimostrazione del fatto che oggi una “canzone” è concepita per attrarre lo spettatore nell’immediato e non è invece destinata a rimanere nel tempo.

Questi artisti invece sono riusciti a creare degli album che molto probabilmente resteranno nel tempo e che stanno segnando un cambiamento per la musica rap italiana significativo.


Questo nuovo anno ci darà ancora altri dischi che tutti gli amanti del genere aspettano da diverso tempo. Altri due “quarantenni” FABRI FIBRA e LUCHE’ saranno sicuramente protagonisti della scena con i loro nuovi album. Sarà un anno importante in cui molto probabilmente il Rap in Italia inizierà a prendere una direzione ben precisa e forse finalmente riuscirà ad avere il posto che merita lontano dalla musica pop italiana.

Lo Zio Eddy

Maxtape è il nuovo progetto di Nerone: non un semplice mixtape, ma qualcosa di più, come suggerisce il titolo. Il titolo è chiaramente ispirato al nome di battesimo, Massimiliano,  ma di fatto è aggettivo adatto a presentare il prodotto.

All’interno infatti troviamo tantissimi rapper, di fama e livello tecnico elevatissimo. Troviamo Emis Killa & Jake la Furia, Fabri Fibra, Boro Boro, Gianni Bismark, Axos, Nitro, Gemitaiz, Highsnob, Danti, Tormento, J-Ax, Maruego, Mido e Clementino. Insomma, non proprio gli ultimi della scena.

Nerone è riuscito a fare da fulcro e trovare affinità con tutti i rapper ospitati nel proprio progetto, anche se apparentemente molto distanti tra loro. Giovani e veterani, rapper vecchia scuola e trapper innovativi. Nerone riesce ad affiancarsi a tutti questi, senza mai sfigurare, anzi… Cosa non banale, quando si hanno tanti ospiti in un proprio progetto: il rischio è quello perdere la propria identità creando un effetto “compilation”. Invece Nerone riesce a tenere in mano le redini del progetto, per dimostrare che non ha nulla da invidiare  ai più grandi della scena.


Lo stile di Nerone, caratterizzato da barre potenti, incastri e giochi di parole non viene meno in nessuno dei brani. Il suo rap polemico, dissacrante, con tante punchline come una volta è accompagnato da un sound fresco e variegato. Le produzioni sono curate da Sine, Bella Espo, A-Kurt, Funkyman, 2P, Foreigner, Biggie Paul, Frenkie G, Marco Azara, Mastermaind, Garelli, PJ Gionson e Big Joe.


All’interno del disco sono contenuti i singoli già pubblicati negli ultimi mesi: Bataclan (feat. Fabri Fibra), Radici (feat. Clementino) e Un sec (feat. Nitro e Gemitaiz).

Se il Real Talk di qualche giorno fa aveva fatto crescere l’hype intorno a Maxtape,
con la release del progetto intero possiamo dire che questa attesa è stata ben ripagata.

Per restare aggiornati seguite i social di Nerone ed il sito dedicato a Maxtape!

https://www.rapologia.it/2021/03/26/maxtape-nerone-streaming/