La carriera di Guè Pequeno potrebbe benissimo parlare da sola,
anche senza l’ascolto di Mr Fini,
disco pubblicato lo scorso 26 giugno 2020 e che farà sicuramente discutere
(forse molto più delle sue ultime dichiarazioni, tra razzismo ed abbigliamento da donna) tutti gli appassionati del genere.
L’artista milanese mancava dalle scene da settembre 2018: un’eternità per chi era abituato a sfornare un album a cadenza annuale.
Sinatra era un mash-up di generi, un disco che ha ampiamente risentito della iper-produttività di un artista che sentiva il bisogno di staccare; dopo essere salito sulla giostra del rap italiano quasi dieci anni fa (senza contare la carriera coi Dogo, iniziata addirittura nel secolo scorso) era normale auspicare un periodo di stop.

Mr. Fini: 17 tracce, 17 fotogrammi di un film.
Se volessimo paragonarlo all’universo cinematografico è immediato l’accostamento a The Irishman di Martin Scorsese, ennesimo capolavoro nella filmografia di uno dei registi più influenti degli ultimi quarant’anni.
Un disco lungo, intenso, proprio come il film di Scorsese, in cui Guè Pequeno toglie la maschera da spaccone e svela lati di sé finora inediti.
Un continuo oscillare tra i classici cliché del rap-game e pezzi più intimi, sperimentando e variando molto a livello sonoro: Mr. Fini potrebbe essere un degno successore di Vero, disco diventato caposaldo nella discografia solista di Guè.
E non solo per la cover, che già si preannuncia come sequel di quell’album.

Sin da L’amico degli amici, Guè ci catapulta nel mood del disco: a parlare sono le barre, e le barre raccontano storie di vita vissuta.
L’incalzare del flow è un crescendo continuo di rimandi ai soldi, alla figa ed ai classici topic del rap.
“Mi appello come sempre all’articolo quinto
Ovvero chi c’ha i soldi ha vinto…
Togli il cappello quando G è nel building
Io compro opere d’arte, tu gli streaming“
L’abilità di Guè è quella di alternare le sue molte anime, che con lo scorrere del disco accontentano sia i puristi del rap che la nuova fanbase avvicinatasi solo recentemente. Si passa da pezzi più conscious e letterari come Il tipo, figura mitologica che vive nell’ombra ma che tutti conoscono, a ballad come il singolo Saigon.
La prima parte del disco si chiude con 25 ore, per poi inoltrarci nel core dell’album, dove sono racchiusi quasi tutti i feat.
Cosa balza all’occhio?
Sicuramente Immortale con Sfera, cui è stato affidato solo il ritornello: un pezzo cupo, malinconico, in cui Guè affronta anche l’eventualità (mancata) di diventare padre, concludendo che è stato meglio così.
Medellin ci lascia l’ennesima strofa ineccepibile di Lazza,
Cyborg l’ottima connessione NA-MI.
Sino all’epilogo del disco, i titoli di coda: Ti levo le collane con la next big thing Paky, dimostrazione che a fare le trappate Guè resta uno dei migliori,
e Stanza 106 e Ti ricordi?.
Sono tante le atmosfere create ad hoc per questo colossal e molte le teste chiamate a lavorarci.
L’ormai fidato 2nd Roof la fa da padrone, firmando metà delle produzioni del disco, campionando Carmen Consoli con L’ultimo Bacio ne Il Tipo,
ma variando molto coi suoni, sino alle atmosfere cupe dei brani più intimi del disco, Immortale e Stanza 106.
Low Kidd ritorna in America Latina (era suo il beat di Sparare alla luna di Salmo e Coez, col concept ispirato a Narcos) curando il beat di Medellin, mentre ai super-premiati Takagi&Ketra è da attribuire Tardissimo.
Non manca nemmeno il pezzo a tinte reggae, Dem Fake, o quelli più spudoratamente rap.
Curiosità: in Ti levo le collane torna quel ritmo ipnotico che ricorda vagamente Buonanotte, pezzo di Emis Killa contenuto in Terza Stagione,
sempre realizzato da 2nd Roof.
Come per Vero, anche questo Mr. Fini ha un taglio molto cinematografico, l’intento è chiaramente quello di raccontarci delle storie, degli scorci della vita di Guè.
Ne è l’esempio perfetto Giacomo, storytelling su un novello Tony Montana che parte dal suo quartiere con ambizioni di prendersi il mondo.
Ma sono tantissimi i rimandi cinefili, più o meno evidenti.
Già nel primo pezzo viene citato Russell Bufalino,
il boss mafioso interpretato da Joe Pesci in The Irishman.
In Chico il ritornello da Rose Villain è una delle frasi più iconiche di Scarface.
La stessa Saigon è uno dei luoghi culto per il cinema di genere, viene subito in mente Denzel Washington in American Gangster che viaggia per ore su un aereo per andare a rifornirsi di eroina direttamente tra i campi vietnamiti.
Insomma, come detto da Guè, l’album va inteso come un film, e lui stesso ce lo fa capire con un immaginario notevolmente influenzato dai suoi registi preferiti.