L’Hip Hop è nato nel quartiere del Bronx a New York 50 anni fa
e da un movimento di persone ignoranti e snobbate dal punto di vista creativo
è diventato un fenomeno commerciale e sociale
che ha portato a una rivoluzione nel mondo della musica,
della danza, dell’abbigliamento e del design.

Un traguardo significativo i cui sviluppi nel corso di cinque decadi
vengono esplorati attraverso oltre 200 fotografie
in mostra da Fotografiska su Park Avenue.
Hip Hop: Conscious, Unconscious‘ (fino al 21 Maggio 2023),
in collaborazione con la rivista Mass Appeal,
e curata da Sacha Jenkins e Sally Berman,
rispettivamente responsabile creativo e ex direttrice della fotografia della rivista, cattura tutti i momenti che hanno segnato la storia dell’Hip Hop,
dalle sessioni improvvisate nel Bronx fino ad un’industria multimiliardaria,
oltre a tracciare il ruolo che la fotografia ha avuto nel dominio mondiale
da parte del genere musicale.

 “I fotografi – ha spiegato Jenkins – erano, per così dire, le ostetriche
che hanno aiutato (metafora per far nascere) sia coloro che ne erano parte
sia quelli al di fuori a capirne il valore”.
Gli scatti fotografici, tra gli altri, riportano indietro nel tempo,
a quando negli anni ’70, in una New York in cui la criminalità proliferava
e il denaro non era mai abbastanza, la creatività era tuttavia ai massimi
e la gioventù, nel tentativo di essere qualcuno
e di emergere da quartieri considerasti di serie B,
cominciò a fare comunella nei parchi e a danzare
e a registrare come se si trovare in uno studio vero e proprio.

 La nascita ufficiale dell’Hip Hop viene fatta risalire all’Agosto del 1973
quando un’adolescente di origini giamaicane, di nome Cindy Campbell,
chiese al fratello più grande di fare da DJ ad una festa di quartiere
per raccogliere soldi per dei vestiti.
La ragazza cominciò a distribuire volantini ed ad invitare persone
nella sala ricreativa di un condominio nel West Bronx
per vedere l’esibizione del fratello noto con il nome DJ Kool Herc,
il quale mixava abilmente dischi reggae a quelli funk, rock e disco

Nasce come una forma di espressione per i giovani afroamericani e latini
che vivonono in condizioni di povertà e degrado sociale.
La musica rap, che rappresenta il pilastro dell’Hip Hop,
è caratterizzata da testi parlati o cantati su una base ritmica,
spesso accompagnati da campionamenti di musica funk, soul e jazz.
Il testo rappresenta una forma di denuncia sociale,
attraverso la quale gli artisti descrivono la realtà dei quartieri difficili,
lottando contro il razzismo, la violenza e l’ingiustizia sociale.

Ma l’Hip Hop non è solo musica, è una cultura a 360 gradi
che comprende vari elementi, come la breakdance, il writing (o graffitismo),
il beatboxing e la cultura fashion.
La breakdance è un tipo di danza acrobatica
che incorpora elementi di ginnastica e arti marziali,
mentre il writing o graffitismo è l’arte di creare disegni murali
su muri e superfici pubbliche.
Il beatboxing è un’abilità vocale che prevede l’utilizzo della voce
come strumento portato musicale,
mentre la cultura fashion ha alla nascita di uno stile unico e inconfondibile,
che ha influenzato l’abbigliamento di intere generazioni.

L’Hip Hop è diventato un fenomeno globale, che ha conquistato il mondo intero,
diffondendo la sua musica e la sua cultura in ogni angolo del pianeta.
Artisti come Tupac Shakur, Notorious BIG, Jay-Z, Eminem e Drake
hanno raggiunto un successo planetario,
diventando icone della cultura Hip Hop e influenzando intere generazioni di artisti.

Ma l’Hip Hop non è solo una forma di intrattenimento,
è anche una forma di impegno sociale e politico.
Molti artisti Hip Hop si sono impegnati in battaglie per i diritti civili e umani,
denunciando le ingiustizie sociali e le violazioni dei diritti umani.

“Con Hip Hop: Conscious, Unconscious – ha detto all’ANSA Amanda Hajjar,
direttrice delle mostra a Fotografiska New York
si impara in profondità la storia di come l’Hip Hop ha avuto i suoi inizi a New York
e poi è cresciuto e si è evoluto attraverso l’obiettivo dei fotografi.

  L’energia degli anni ’70, che ha dato vita al fenomeno,
è dinamicamente catturata attraverso reportage fotografici di quel periodo,
prima che l’Hip Hop prendesse coscienza di se stesso
(da qui Unconscious nel titolo).
Negli anni ’80 e ’90 c’è il passaggio alla produzione di album,
di conseguenza arrivano i soldi, si crea una moda
e soprattutto si crea fiducia in quella cultura.
Quella consapevolizza viene rivelata attraverso scatti più recenti
(quindi Conscious).

La mostra non manca di evidenziare il valore
che le donne hanno dato alla cultura dell’Hip Hop.
Tra gli scatti più significativi un ritratto regale di Queen Latifah,
i cui inni femministiLadies First‘ e ‘U.N.I.T.Y.
hanno denunciato l’aumento dell’aggressività
e della misoginia nei testi dell’Hip Hop agli inizi degli anni ’90.

In conclusione, l’Hip Hop è una cultura che ha cambiato il mondo,
portando la voce di una generazione di giovani emarginati
e lottando contro l’ingiustizia sociale.
La sua musica e la sua cultura hanno influenzato la moda, l’arte,
la danza e la società nel suo insieme,
diventando una vera e propria forma di espressione artistica e culturale.

Fonte e Articolo completo.

L’omicidio di Tupac Shakur è rimasto irrisolto per oltre 25 anni
nonostante numerose persone abbiano puntato il dito contro il principale sospettato:
Orlando Anderson (persino suo zio Keefe D).
Nelle numerose interviste, nel documentario e nel libro
chiamato Compton Street Legend,
l’ex Crip ha ammesso di avere avuto un ruolo fondamentale nell’omicidio di Pac.

2Pac è stato ucciso a colpi di arma da fuoco il 7 Settembre 1996
vicino all’incrocio tra Flamingo e Koval a Las Vegas, Nevada.
Morì sei giorni dopo all’University Medical Center all’età di 26 anni.

Questo è quello che si sa per certo:
Tupac Shakur e Suge Knight, all’epoca CEO di Death Row Records,
si incontrarono per andare a vedere un incontro di Mike Tyson
all’MGM Grand di Los Angeles.
Nella hall del casinò, però, Shakur incrocia Orlando Anderson,
un membro della gang dei Crips.
I due si scontrano – con la partecipazione degli entourage di Shakur e Knight
ma la situazione rientra in poco tempo e ognuno va per la sua strada.
Più tardi Tupac e Knight salgono in macchina con l’intenzione di andare al Club 662,
un locale di proprietà del CEO di Death Row.
Durante il tragitto, però, una Cadillac bianca si affianca al veicolo
e un uomo (non identificato) fa fuoco.
Erano le 11 di sera.

Il rapper fu colpito quattro volte
– due proiettili nel torace, uno nel braccio e l’ultimo nella coscia –
e si ritrovò con il polmone destro perforato.
Knight, invece, ne è uscì praticamente illeso:
solo una piccola ferita sulla testa causata dalla scheggia di un proiettile. 

L’ omicidio è inquadrato nel contesto della radicale contrapposizione
tra West Coast e East Coast.
Due sound differenti, due filosofie concorrenti, due modi diversi intendere il rap:
per tutti gli anni ’90 West Coast e East Cost hanno diviso pubblico e addetti ai lavori,
generando un conflitto che è andato ben oltre il rap.

I protagonisti delle opposte fazioni erano due:
Tupac e Notorious B. I. G.
Sebbene fossero fino a poco tempo prima amici, Pac e Biggie,
a causa di tutta una serie di episodi,
entrano in una faida che resta ancora impressa nella memoria collettiva
di tutti gli appassionati dell’Hip Hop.
Diviene ovviamente memorabile il loro beef a suon di rime
che porta alla nascita di due tracce cult del genere:
Hit ‘Em Up di Pac e Who Shot Ya? di Biggie,
dove entrambi si insultano e minacciano esplicitamente di farsi fuori.

Hit ‘Em Up

I media, hanno sempre scelto di raccontare una storia suggestiva,
allontanando chiunque dalla verità.
Secondo i media, il colpevole era l’ex amico e rivale The Notorious B.I.G.;
i due hanno trovato il successo insieme all’inizio degli anni’ 90,
ma dopo qualche anno il rapporto si è incrinato,
travolto dalla storica rivalità tra East e West Coast.
Rivalità che sarebbe iniziata con Who Shot Ya?,
il pezzo di Biggie del ’94 che molti hanno interpretato come una diss track
per Shakur che, due anni dopo, ha risposto con Hit ‘Em Up,
in cui sembra raccontare una scappatella con Faith Evans,
la moglie di Biggie.

La Evans, qualche tempo dopo,
ha dichiarato che il marito era convinto che tutti lo incolpassero dell’omicidio
e aveva paura delle ritorsioni.
Biggie ha sempre negato.

Un’ altra teoria, anche questa difficile da provare,
dipinge Suge Knight come il vero colpevole della morte di Tupac.
C’è chi è convinto che il rapper fosse sul punto di fondare la sua etichetta
e Knight avrebbe orchestrato l’omicidio per impedirglielo.
L’uomo, però, ha sempre negato.
Non solo, in un documentario propone una quarta versione dei fatti:
Sharita Golden, la sua ex moglie, e Reggie Wright Jr.,
all’epoca capo della sicurezza di Death Row Records,
avrebbero organizzato l’assalto in cui è morto Tupac,
ma la vittima designata era proprio Knight.
Il movente?
I due volevano il controllo dell’etichetta.

Altra teoria poco plausibile riguarda le dichiarazioni di John Potash,
autore del libro-inchiesta FBI War on Tupac Shakur & Black Leaders,
secondo il quale, gli omicidi di Shakur e Notorious B.I.G.
sarebbero da configurarsi nell’ottica di un piano governativo
volto all’eliminazione di figure scomode nella lotta ai movimenti afroamericani
potenzialmente dannosi per la società
(come quanto accaduto negli anni ’60 con le Pantere Nere).
Sebbene Tupac non militasse in alcuna organizzazione per i diritti dei neri o simili,
il suo carisma avrebbe potuto risvegliare sentimenti antigovernativi sopiti negli anni,
specie per la natura dei suoi testi inneggianti la libertà, l’odio verso le autorità
e in generale la sua idea di vita Thug Life, molto contestata all’epoca.

A quasi ventidue anni dalla sua morte,
importanti rivelazioni sull’omicidio stanno ora emergendo
dalla confessione del rapper Keefe D.

 Keith David, in arte Keefe D, rapper e membro della gang losangelina dei Crips
dichiara: “Ero un boss di Compton, spacciavo droga
e sono l’unico vivo in grado di raccontare la storia dell’omicidio di Tupac.
Sono stato inseguito per vent’anni
e sto uscendo allo scoperto ora
perché ho il cancro.
Non ho nient’altro da perdere.
Tutto quello che mi interessa ora è la verità“. 

Durante un incontro del 2021 con The Art Of Dialogue, Keefe D,
si era in realtà già dichiarato colpevole, anzi complice,
in quanto presente in macchina quando Anderson
sparò i colpi mortali al rapper di Los Angeles.
Secondo quanto è stato riferito dal LVPD,
l’ex detective del dipartimento di polizia di Los Angeles Greg Kading,
ha ritenuto “inconcepibile” che Keefe D non fosse stato arrestato
a causa del suo evidente coinvolgimento nel crimine:
“Bisognerebbe arrestare Keefe D con l’accusa di complicità in omicidio,
sulla base delle sue numerose confessioni pubbliche“,
ha detto a The Sun, l’ex poliziotto. 

Anzi, le parole di Keefe D potrebbero ora costargli la libertà.
In una recente intervista con Bomb1st,
Reggie Wright Jr. ha suggerito che gli investigatori stanno scavando
nel coinvolgimento di Keefe D e potrebbero addirittura trascinarlo in prigione.

Wright ha suggerito che Keefe D ha tutte le ragioni per essere nervoso
perchè la polizia è effettivamente nel bel mezzo di un’indagine nei suoi confronti
che mirerebbe a dimostrare il suo coinvolgimento attivo nell’omicidio di 2Pac.
“Sarebbe quindi una decisione dell’ufficio del procuratore distrettuale
determinare se le prove sono sufficientemente forti per essere perseguite.
Il dipartimento di polizia può assolversi dalle proprie responsabilità
arrestando Keefe D e affidando la responsabilità al procuratore distrettuale,
a cui appartiene”.

È davvero incredibile come a distanza di anni
non si riesca ancora a fare luce sui tragici eventi che portarono alla morte di Tupac.
Nonostante i tantissimi testimoni la verità continua a restare sepolta.
Le ultime rivelazioni però tracciano una nuova direzione per le indagini,
dando a tutti noi la speranza che un giorno questo caso possa essere risolto.

(I.M.D.L.)