Fabio Bartolo Rizzo meglio conosciuto come Marracash,
MC milanese di origine siciliana appartenente alla Dogo Gang
è sicuramente il rapper più competitivo
quando si affronta l’argomento della scrittura.
Nei testi Marra” mette sotto forma di testo tutta la rabbia
provata nel crescere in una città come Milano,
ma che potrebbe essere qualsiasi città moderna
in cui spesso a quanto pare sono i soldi a fare l’uomo,
in cui regna l’individualismo esasperato.
Rima delle pubblicità, dei luoghi comuni, del materialismo,
degli oggetti della società del benessere
che più che benessere semina frustrazione.
Ed è proprio questo forse il nucleo tematico della scrittura dell’artista,
anzi forse di tutta la sua poetica.
La frustrazione.

Il Principe della Barona,
il quartiere di provenienza è un punto di partenza, di fierezza
che crea forza e identità di questo rapper.
Con il gusto di essere se stessi,
di non vergognarsi delle proprie origini, famiglia, storia,
ma di marciarci sopra (e Marra lo fa forse fin troppo!),
prendendo la propria vita intera,
con tutte le schifezze e i grammi assunti,
e farne il proprio unico e irriproducibile punto di forza.
Puntarci tutto.
Per non essere un prodotto dell’ambiente da cui si proviene,
ma per fare in modo che l’ambiente sia un proprio prodotto.
Dritto al punto, senza filtri, e con un immaginario da giungla molto forte,
supportato dalla gente popolare e dalla gang dei Dogo,
che a Milano vuol dire Bollino Blu.

Marra in questi ultimi anni ha avuto la capacità
di riuscirsi a ritagliare un posto sui gradini più alti della scena Rap italiana
grazie a due dischi che hanno segnato una svolta
nella scrittura dei testi e nell’esposizione di un concept solido e ben articolato:
Persona” e “Noi, Loro, gli Altri“.
Fin dal titolo del disco (Persona), infatti, si comprende il filo conduttore del progetto,
ovvero il dualismo, dal quale deriva l’eterna lotta fra persona e personaggio,
alla ricerca di un’identità impossibile da definire pienamente.
15 brani da ascoltare tutti di un fiato, e tante collaborazioni,
9 per l’esattezza, scelte accuratamente dall’artista,
per far rendere l’album al massimo.
Ogni sua rima, ogni sua parola ha il proprio peso,
lasciando da parte la banalità e l’autocelebrazione, per dare spazio alle sensazioni.
Da non sottovalutare assolutamente è anche la denuncia sociale,
che non ha nulla di politico,
nulla di superficiale e non è mai scontata e fine a se stessa.

La forza solida delle produzioni Rap è unita a momenti di piena consapevolezza.
È percepibile, fra le righe, una voglia di rivalsa che contrasta con la cupezza,
una ricerca di speranza che si fa sempre più intensa.
L’autore si immerge nelle sensazioni lasciate dalle esperienze degli ultimi anni,
cercando venire a patti con il suo personaggio,
rifiutando, come sempre, l’omologazione per seguire un percorso del tutto personale.
Questo album è la prova che si può fare un Rap libero da imposizioni di mercato,
in cui si possono lasciare fluire i pensieri
per osservare con maggiore chiarezza cosa comporta oggi la popolarità
e il suo legame con l’immagine che le persone attribuiscono arbitrariamente.

Dopo “PersonaMarra riesce di nuovo a stupirci con un altro grandissimo disco:
Noi, Loro, gli Altri“.
Il disco, definito dall’artista un “Concept Album” come il suo predecessore,
ha alla base l’idea della divisione sociale.
Le tre copertine, una per ogni diversa versione del disco,
hanno lo scopo di identificare il gruppo di appartenenza di ogni individuo.
In questo nuovo album, il rapper di Barona ci racconta
la sua visione del mondo intorno a lui, ci parla di amici,
delle difficoltà che una persona può trovarsi ad affrontare,
della paura di perdere qualcuno di importante.
Solo nel brano “IO” troviamo una descrizione introspettiva già sentita in “Persona“.
Immagina di dover essere un rapper ed essere costretto ogni volta ad alzare il tiro.
Il concept del disco precedente era basato su “Persona” di Bergman,
il nuovo disco si orienta verso concetti di spersonalizzazione
e conflitti di classe a cui la società in cui viviamo ci obbliga,
ma la critica è rivolta anche agli stessi artisti delle nuove generazioni
che pensano solo alle views, ad essere famosi e a fare soldi,
che spesso fingono di appartenere “alla strada” solo per apparire più fighi,
ma in realtà risultano vuoti e senza background,
dove l’omologazione, le mode e il successo
restano gli unici obiettivi di una generazione
che non ha ancora storicizzato i propri valori.
Detto questo, musicalmente l’album funziona anche meglio di Persona
che già è un capolavoro, soprattutto nella parte iniziale.
Questa volta si apre con due ottime idee:
la banger LORO
e il campionamento di PAGLIACCIO
e si prosegue restando su ottimi livelli per tutto l’intero disco.
A differenza di “Persona“, troviamo solo 3 featuring,
ma scelti benissimo:
ovviamente non poteva mancare il pezzo con Gué, LOVE,
un brano sull’amicizia cantato sulla base di Infinity di Guru Josh;
Poi Calcutta e Blanco che cantano rispettivamente i ritornelli
di LAURA AD HONOREM e NEMESI.
In realtà ci sono anche delle collaborazioni nascoste,
Elodie in CRAZY LOVE,
Salmo e Joan Thiele in COSPLAYER, con quest’ultima anche in NOI,
e Fabri Fibra nella skit NOI, Loro E GLI ALTRI.
Noi, Loro e gli Altri è l’ennesimo passo avanti di un artista
che non deve più dimostrare niente,
ma che continua a sorprendere grazie alla sua scrittura esemplare.

Le liriche di Marra sono più personali che mai,
ma allo stesso tempo permettono una forte immedesimazione,
con l’utilizzo di immagini universali, vicine a tutti gli ascoltatori.
Forse Marra non riuscirà mai del tutto a vincere su Marracash,
ma sicuramente non perderà mai la fame artistica che lo spinge a fare sempre meglio,
perché la musica è un veicolo terapeutico potentissimo
per esprimere i meandri della propria personalità.

La carriera di Guè Pequeno potrebbe benissimo parlare da sola,
anche senza l’ascolto di Mr Fini,
disco pubblicato lo scorso 26 giugno 2020 e che farà sicuramente discutere
(forse molto più delle sue ultime dichiarazioni, tra razzismo ed abbigliamento da donna) tutti gli appassionati del genere.
L’artista milanese mancava dalle scene da settembre 2018: un’eternità per chi era abituato a sfornare un album a cadenza annuale.
Sinatra era un mash-up di generi, un disco che ha ampiamente risentito della iper-produttività di un artista che sentiva il bisogno di staccare; dopo essere salito sulla giostra del rap italiano quasi dieci anni fa (senza contare la carriera coi Dogo, iniziata addirittura nel secolo scorso) era normale auspicare un periodo di stop.

Mr. Fini: 17 tracce, 17 fotogrammi di un film.
Se volessimo paragonarlo all’universo cinematografico è immediato l’accostamento a The Irishman di Martin Scorsese, ennesimo capolavoro nella filmografia di uno dei registi più influenti degli ultimi quarant’anni.
Un disco lungo, intenso, proprio come il film di Scorsese, in cui Guè Pequeno toglie la maschera da spaccone e svela lati di sé finora inediti.
Un continuo oscillare tra i classici cliché del rap-game e pezzi più intimi, sperimentando e variando molto a livello sonoro: Mr. Fini potrebbe essere un degno successore di Vero, disco diventato caposaldo nella discografia solista di Guè.
E non solo per la cover, che già si preannuncia come sequel di quell’album.

Sin da L’amico degli amici, Guè ci catapulta nel mood del disco: a parlare sono le barre, e le barre raccontano storie di vita vissuta.
L’incalzare del flow è un crescendo continuo di rimandi ai soldi, alla figa ed ai classici topic del rap.

Mi appello come sempre all’articolo quinto
Ovvero chi c’ha i soldi ha vinto…
Togli il cappello quando G è nel building
Io compro opere d’arte, tu gli streaming

L’abilità di Guè è quella di alternare le sue molte anime, che con lo scorrere del disco accontentano sia i puristi del rap che la nuova fanbase avvicinatasi solo recentemente. Si passa da pezzi più conscious e letterari come Il tipo, figura mitologica che vive nell’ombra ma che tutti conoscono, a ballad come il singolo Saigon.
La prima parte del disco si chiude con 25 ore, per poi inoltrarci nel core dell’album, dove sono racchiusi quasi tutti i feat.
Cosa balza all’occhio?
Sicuramente Immortale con Sfera, cui è stato affidato solo il ritornello: un pezzo cupo, malinconico, in cui Guè affronta anche l’eventualità (mancata) di diventare padre, concludendo che è stato meglio così.

Medellin ci lascia l’ennesima strofa ineccepibile di Lazza,
Cyborg l’ottima connessione NA-MI.
Sino all’epilogo del disco, i titoli di coda: Ti levo le collane con la next big thing Paky, dimostrazione che a fare le trappate Guè resta uno dei migliori,
Stanza 106 e Ti ricordi?.

Sono tante le atmosfere create ad hoc per questo colossal e molte le teste chiamate a lavorarci.
L’ormai fidato 2nd Roof la fa da padrone, firmando metà delle produzioni del disco, campionando Carmen Consoli con L’ultimo Bacio ne Il Tipo,
ma variando molto coi suoni, sino alle atmosfere cupe dei brani più intimi del disco, Immortale e Stanza 106.
Low Kidd ritorna in America Latina (era suo il beat di Sparare alla luna di Salmo e Coez, col concept ispirato a Narcos) curando il beat di Medellin, mentre ai super-premiati Takagi&Ketra è da attribuire Tardissimo.
Non manca nemmeno il pezzo a tinte reggaeDem Fake, o quelli più spudoratamente rap.
Curiosità: in Ti levo le collane torna quel ritmo ipnotico che ricorda vagamente Buonanotte, pezzo di Emis Killa contenuto in Terza Stagione,
sempre realizzato da 2nd Roof.

Come per Vero, anche questo Mr. Fini ha un taglio molto cinematografico, l’intento è chiaramente quello di raccontarci delle storie, degli scorci della vita di Guè.
Ne è l’esempio perfetto Giacomo, storytelling su un novello Tony Montana che parte dal suo quartiere con ambizioni di prendersi il mondo.
Ma sono tantissimi i rimandi cinefili, più o meno evidenti.
Già nel primo pezzo viene citato Russell Bufalino,
il boss mafioso interpretato da Joe Pesci in The Irishman.
In Chico il ritornello da Rose Villain è una delle frasi più iconiche di Scarface.

La stessa Saigon è uno dei luoghi culto per il cinema di genere, viene subito in mente Denzel Washington in American Gangster che viaggia per ore su un aereo per andare a rifornirsi di eroina direttamente tra i campi vietnamiti.
Insomma, come detto da Guè, l’album va inteso come un film, e lui stesso ce lo fa capire con un immaginario notevolmente influenzato dai suoi registi preferiti.