Vediamo come nasce, come è fatto e come funziona un disco in vinile,
con il suo processo di creazione completo.
Oggi vedremo tutte le fasi, nell’ordine:

  • Mixaggio
  • Placcatura
  • Bagno Galvanico: Matrice
  • Separare Matrice e Master
  • Bagno Galvanico: Madre
  • Separare Madre e Matrice
  • Levigatura
  • Ispezione
  • Terzo Bagno Galvanico
  • Risciacquo e Asciugatura
  • Separare Stampa e Madre
  • Pressatura
  • Rifilatura

Sarà la tecnica, la storia o la combinazione di queste fasi,
ma il suono di un vinile in buone condizioni è un suono caldo, delicato e vivo.
Inutile fare classifiche su chi sia meglio tra analogico e digitale.
Sono gusti. É un suono diverso.

Che cos’è il vinile?

Vinile sta per PoliVinilCloruro o Cloruro di polivinile, un polimero plastico,
o più semplicemente, plastica.
Il materiale del vinile ha il maggior merito per la qualità di questo supporto
in confronto agli altri, oltre alla velocità di registrazione.
Un materiale che è stato il modo più pratico per distribuire il suono
fino all’arrivo del digitale.
Plastica sintetica, naturalmente, perché la chimica del vinile
comprende l’etilene e il cloruro.
Molecole che formano il DNA di un materiale economico,
durevole e facile da utilizzare rispetto alle alternative dei primi anni del ‘900,
quando è nato.
Certo, all’inizio il disco era un fanciullo senza esperienza, un po’ grezzo,
ma poi si è raffinato e perfezionato, grazie al seguente processo.

Come si fa un Disco in Vinile: le diverse fasi

1: Mixaggio

Tutto inizia da una registrazione di notevole qualità durante il mixaggio 
in sala d’incisione.
Se vuoi sapere cosa c’era prima del vinile, tra case discografiche,
fonografi e grammofoni, scopri come si registra un disco in vinile.
I suoni sono registrati dal fonoincisore, un tornio molto particolare,
su un disco laccato in guttaperca o cera (una piastra di alluminio verniciata).
Ecco il primo stadio del vinile: il master. 
Questo disco grezzo ha già i due lati incisi (side A e B).
Ti assicuro che qui ci giochiamo un buon 70-80% di cosa ascolteremo
sul giradischi di casa.
Qualità e tecnica del mixaggio servono a rendere perfetto
il delicato master principale.
Le due fasi, unite alla precisione del fonoincisore,
saranno determinanti per la qualità superiore di un disco in vinile.
Nei primi anni i dischi in cera morbida erano rivestiti di grafite;
in seguito, per le lacchesi procedeva in questo modo:

  • si spruzzava la saponina, una soluzione organica derivante dalle piante 
    che difende il disco da funghi e altri organismi
  • si risciacquavano
  • si spruzzava una soluzione con cloruro stannoso per sensibilizzare la superficie del master

La saponina ha una funzione vitale:
è la prima sostanza proteggere il vinile.
Poi il disco inciso è pulito con una tripla combinazione:

  1. ciclo automatico
  2. bagno con una speciale soluzione
  3. pulizia a mano
    (i tecnici del vinile sono persone precise e accurate, guai lasciare qualcosa al caso)

Solo quando il personale è al cento per cento soddisfatto del risultato,
passerà alla seconda fase.

2. Placcatura

Con la placcatura si riveste il master con cloruro di argento e stagno,
una bella verniciata con cui sovrapporre e unire il master allo strato metallico.

La placcatura serve a due cose, fondamentali:

  1. Uno, protegge il master dagli attacchi di qualche microscopico esercito 
    venuto a danneggiare il disco in vinile:
    agenti ossidanti, corrosivi, atmosferici e simili.
    (La vita di collezionista di vinili è fatta di delizie su giradischi,
    ma anche di battaglie contro l’ambiente esterno che potrebbe rovinare il disco. La placcatura è una fase molto delicata,
    pietra miliare della conservazione di un disco in vinile)
  2. Due, il rivestimento d’argento e stagno fa da conduttore 
    per trasportare la correnteindispensabile per la terza fase

La fase di placcatura, e il successivo bagno galvanico, sono due fasi
da tenere a mente anche in seguito,
quando elimineremo l’elettricità statica 
durante la pulizia del vinile.

3. Bagno Galvanico – Matrice (Father)

Il master si fa un bagno galvanico di 4 o 5 ore,
una vera e propria immersione che forma uno strato di nichel 
sopra il disco attraverso la conduzione della corrente elettrica 
vista nella fase precedente.

Nasce il secondo stadio del vinile: dal master abbiamo tra le mani una matrice.

Dunque, ricapitolando:

  1. prima il master, un disco in alluminio laccato e inciso in sala mixaggio
  2. poi la matrice, detta anche “father” (padre)

Dagli anni ’40 ai primi ’60 il processo era più veloce e semplice:
il bagno di nichel durava un’ora o meno, poi si ripeteva la placcatura.

Dall’inizio degli anni ’60 tutte le matrici sono realizzate con nichel solido.
Dopo il bagno galvanico la matrice è risciacquata con acqua deionizzata,
perché il sale non rovini la delicatezza del disco.
Poi si lascia asciugare la piastra.

A questo punto la domanda sorge spontanea. 
Come vengono fuori i solchi?

4. Via il metallo dal Disco:
separare la Matrice dal Master

Un particolare strumento separa il master dalla matrice (padre) 
con estrema cura e attenzione.
I mitici solchi del vinile, strette spirali dove la puntina scorrerà
per riprodurre il suono, nascono così, quasi per magia.
Ci piace pensarla in questo modo:
il disco esce di casa e si separa da suo padre.
Questa operazione crea solchi in negativo, derivati dai solchi originali del master.
La matrice è infatti detta “negativo”, per distinguerla dal “positivo” 
che è il disco originale mixato in sala incisione.
Nei primissimi anni si usava la matrice come stampo 
per le copie di vinili da vendere al pubblico.
Ma c’era bassa domanda di vinili, poche copie da fare:
per un po’ di anni era sufficiente il secondo stadio del vinile
per produrre copie sufficienti.
Negli anni ’60 l’industria musicale esplose definitivamente,
l’uragano Beatles fu solo l’inizio delle danze,
l’effetto domino fece schizzare in alto la domanda.
Per riempire i negozi non si poteva di certo usare solo la matrice.
Il rischio di rovinare il disco era altissimo.
Ecco perché gli addetti ai lavori hanno aggiunto un altro passaggio al processo.

5. Bagno Galvanico (2): Madre

Con una speciale macchina si spruzza sulla matrice una pellicola che ha due funzioni:

  • permette la conduzione di elettricità (di nuovo)
  • evita che i due strati di nichel si sovrappongano

Il disco allora ripete un secondo bagno galvanico di nichel.
La matrice è usata come catodo, grazie al passaggio precedente,
e l’elettricità fa crescere il nichel sulla sua superficie.
A questo punto abbiamo un gemello del disco master
e dunque una copia del disco originale.
Questa nuova piastra, il terzo stadio del disco in vinile
è detta madre, in inglese positive.

Placcatura, risciacquo e asciugatura

Anche la madre, come la matrice (father), è sottoposta al mini-processo:

  • placcatura per un paio d’ore
  • risciacquata con acqua demineralizzata
  • asciugata

Perché questa nuova piastra è così importante?
Perché la madre è un moltiplicatore di stampe (i veri vinili).
Vuol dire che nella successiva fase di stampa ci vorrà una madre 
per creare una serie di stampe, che poi saranno i veri dischi in vinile
da distribuire al pubblico.

Le stampe sono come i figli della madre.
Forse la madre si chiama così proprio per dà vita a tanti vinili.

E il concetto è semplice:
ci vuole più di una stampa (molti dischi madre), 
in fase di produzione, per generare grandi volumi di vinili.

Questo non sarebbe possibile passando direttamente dal negativo (father) 
alla stampa per via della fragilità del primo stadio (ancora grezzo, primordiale)
del vinile che non è ancora un vinile.

6. Separare la Madre dal…figlio

Al termine del secondo bagno galvanico
si lascia asciugare la nuova piastra
Matrice madre si separano con la stessa tecnica usata per separare,
in precedenza, il master dalla matrice.

7. Levigatura

E ora andiamo dritti verso i vinili che tutti noi ascoltiamo.
La madre è passata in una particolare levigatrice.

Al tempo stesso una persona leviga con cura e precisione le eventuali
(e abbastanza naturaliimperfezioni sulla superficie,
altra fase delicata e importante per evitare fastidi durante l’ascolto,
interferenze e altro.

Ah, un’altra cosa.
Questo procedimento ha il suo fascino ed è il segreto della bellezza
di un disco in vinile, ma come tutto ha le sue controindicazioni.
I vari bagni galvanici possono aggiungere al disco 
qualche informazione sotto forma di lieve rumore.
Questi lievissimi difetti sono il marchio di fabbrica del vinile:
il tipico suono caldoavvolgente, originale e di solito non perfetto.
A noi piace così.

8. Ispezione

L’ispezione della piastra madre è un vero e proprio controllo qualità, per due motivi:

  1. controllare al microscopio che fino a quel momento il processo
    sia avvenuto a regola d’arte.
    Se la risposta è negativa, il disco è scartato
  2. ascoltare il disco per eventuali, piccoli o grandi difetti o imperfezioni di suono. Una fase da sballo, il primo vero ascolto di un disco in vinile

Se pensiamo che già in queste prime fasi il disco (ancora grezzo) passa sotto la lente di un microscopio, immaginiamo facilmente il livello di qualità di un vinile.
Le persone e i tecnici del suono creano qualità con le mani, gli occhi e le orecchie.
Ispezionano minuziosamente solo al terzo stadio,
dopo aver protetto la piastra a suon di placcature e bagni galvanici.
Il livello raggiunto verrà fuori in tutto il suo splendore
quando il tuo LP girerà nel giradischi.

9. Un altro Bagno Galvanico

Altro giro, altra corsa, si ripete il processo che ormai conosciamo:
se la madre supera il test di qualità:

  • è rivestita con una pellicola
  • ancora in un bagno galvanico di nichel

Se non supera l’esame è scartata e il processo va avanti senza quel disco.
Questo è in genere l’ultimo bagno galvanico e il suo obiettivo
è aumentare lo spessore del disco per il successivo processo di stampa.
Manca poco per realizzare dischi in vinile in PVC che tutti conosciamo.
La terza piastra rivestita di nichel andrà sotto pressatura, 
ma solo dopo un altro giretto di placcatura (rivestimento).

10. Sciacquo e Asciugo

Ormai lo sappiamo: dopo un bagno di nichel bisogna 
sciacquare e asciugare ben bene.

11. Separare la Stampa dalla Madre

Con lo stesso procedimento di prima
si separa la madre dal disco usato per la stampa.

Poi si procede a:

  • Ispezionare la stampa
  • Avvolgere il disco con una pellicola
  • Con una fustella si taglia un po’ di pellicola dal centro,
    dove ci sarà il foro centrale del disco in vinile

Lucidatura del disco

In seguito, il dietro della stampa è lucidato con delle smerigliatrici 
di diverso tipo: ruvida, meno ruvidamedia fine.
La lucidatura permette alla stampa di essere un buon conduttore di calore 
per la seguente fase di pressatura.
Prima della pressatura si crea il foro centrale del disco,
concentrico rispetto ai solchi del disco, per il lato A del disco in vinile.
La stessa procedura, quando la stampa è separata dalla madre, sarà fatta per il lato B.
Ci siamo, ragazzi: preparate le etichette. Si va alla pressa.

12. Pressatura

Gli stampi definitivi, assieme alle etichette, sono sottoposti a pressatura. 
Le forme della pressa sono composte da labirinti di tunnel 
dove aria bollente e freddissima mantengono la temperatura
della pressa in perfetto equilibrio.
Prima della pressatura ci sono altri importanti azioni,
necessari per ottenere un grande risultato finale.

Alimentare il vinile: PVC

Un silo della pressa, attraverso una pompa,
risucchia dei granuli di cloruro polivinilico.
Il vinile grezzo è riscaldato a 140°-150° C,
a formare un piccolo disco molto leggero.
É posizionato in centro alla pressa con le etichette della casa discografica
fissate sopra e sotto.
È arrivato il momento:
la pressa a caldo, con una pressione di varie decine di tonnellate,
preme il vinile grezzo per dargli la classica forma di disco imprimere i solchi.
Dopo la pressatura, il vinile è immerso in un bagno con acqua fredda, 
per raffreddarlo.

13. Rifilatura

Si rifilano i bordi, in questo momento irregolari e discontinui, del disco in vinile.
Il disco è quasi…in perfetta forma.

Ovviamente inseriamolo in copertina!

Ed ecco che il disco in vinile è inserito in una copertina quadrata
(prima dentro una busta per proteggere il disco).
Tra tutte le operazioni che abbiamo visto sembra la più banale,
ma non lo è affatto.
La copertina di un disco in vinile può nascondere un mondo.
É come un’opera d’arte, un quadro che contiene un semplice disco di plastica,
ma mille volte più prezioso.

I tempi che viviamo danno vita a nuovi comportamenti
che non hanno precedenti nella storia umana.
L’umanità ha sempre guardato ai suoi giovani per l’innovazione,
ma oggi sta accadendo più velocemente che mai.
Le generazioni sono formate da eventi significativi e progressi sociali,
la generazione silenziosa fu plasmata dalla Seconda Guerra Mondiale,
i baby boomer dall’assassinio Kennedy,
la Generazione X dall’esplosione del Challenger,
i millennial dall’11 Settembre e la Generazione Z dalla tecnologia mobile,
dal terrorismo e dai social media.

La capacità di comunicare in maniera effettiva, online e di persona,
è una qualità essenziale.
Internet ed i nuovi media hanno permesso alle persone di sperimentare
ciò che è importante e di porre al centro dell’attenzione
ciò che è necessario senza lasciare nulla in sospeso.
La prossima generazione dovrà eccedere in questa arte,
sviluppando la capacità di guidare una conversazione
e di creare una connessione effettiva attraverso le nuove forme di linguaggio.
Quello che dovrebbe riscoprire l’Italia è soprattutto il valore
che le nuove generazioni possono dare
quando esprimono le proprie potenzialità
e sono aiutate a superare le proprie fragilità.
I giovani devono poter aggiungere valore con la propria novità,
gettando il proprio sguardo originale sul mondo
e offrendo soluzioni inedite alle sfide del proprio tempo.
Compito delle nuove generazioni è andare oltre il presente,
mentre il compito delle più mature è consentire ad esse
di poterlo fare nel modo migliore.
Le generazioni precedenti stanno assimilando
i comportamenti delle generazioni emergenti
per due ragioni principali,
trasparenza ed autoconservazione.
Per tale motivo risulta spesso inopportuno criticare questi nuovi modelli sociali
che nonostante la crisi dei nostri tempi
riescono comunque a ritagliarsi i propri spazi
attraverso la musica, gli indumenti, l’arte multimediale
e tutte le varie esperienze creative che si sono sviluppate nell’era moderna
e che continueranno ad essere i capisaldi per lunghissimo tempo.
Questo è solo uno degli scenari che si prospettano
e che richiede quindi che le persone siano in grado di comunicare in modo ottimale
utilizzando nuovi strumenti.
In un’epoca dove anche all’interno di gruppi di lavoro si utilizzano tecnologie
quali Skype o Slack, risulta necessario imparare a comunicare in modi diversi,
adattandosi a nuove tecnologie, potenziando le proprie capacità
di comprensione e di scrittura.

Quando apparvero sulla scena sociale gli hippie o i punk,
le altre controculture giovanili,
prima ancora del contenuto ideale della loro espressione generazionale,
a colpire la mentalità borghese fu il disgusto dettato dagli indumenti,
dagli ornamenti, dalla toilette di questi giovani.
La creatività nello stile di vita sfuggiva alle codificazioni del sistema
del consumo corrente e si veniva a creare un divario generazionale
abbastanza netto.

Eppure un Paese che ha voglia di cogliere positivamente la sfida della longevità
e produrre benessere ha bisogno di una qualificata presenza delle nuove generazioni
nei propri processi di cambiamento e sviluppo.
Una migliore comprensione delle diversità culturali
permette di avere interazioni migliori tra le persone,
che si traduce in una migliore collaborazione.

In questo scenario, la nuova generazione, la Generazione Z,
rispetto alle generazioni precedenti sarà caratterizzata da una moltitudine di idee
e progetti tesi alla riconciliazione di temi essenziali
che oggi sono quasi sempre ignorati e tenuti a distanza.
La caratteristica fondamentale delle nuove generazioni che stupisce tutti
è quella di avere un grande spirito d’iniziativa.
La competizione per ottenere il successo è sempre stata spietata
ma, in un mondo sempre più connesso e globale,
i ragazzi delle generazioni future non dovranno solo competere
con altre persone dello stesso Paese, ma anche con quelle provenienti
da tutto il mondo.

Questo succede perché la società è mutata e la globalizzazione ha reso
nel bene e nel male tutto accessibile.
Sarà quindi importante avere il giusto spirito d’iniziativa
e la voglia di mettersi in gioco,
qualità sicuramente presenti nelle generazioni odierne.
I giovani di oggi sono il modo attraverso cui la società
sperimenta il nuovo del mondo che cambia.
Se messe nelle condizioni adeguate,
sono la componente essenziale in grado di coniugare le proprie potenzialità
con le specificità del territorio in cui vivono
e le opportunità delle trasformazioni del proprio tempo.
Le difficoltà dei giovani e l’aumento delle disuguaglianze generazionali
vanno considerate il segnale principale che la società
non sta andando nella giusta direzione.
Questa diffidenza da parte della società verso la sfera giovanile
non va altro che aumentare il senso di inadeguatezza
che fa parte ormai delle nuove generazioni.
Nonostante le qualità e le potenzialità siano evidenti
resta comunque ancora una notevole distanza comunicativa
tra i giovani di oggi e le generazioni precedenti.

Parlando con le persone profane al mondo della produzione,
si intuisce come l’idea più diffusa sul campionamento,
con l’utilizzo del campionatore, renda tutto più semplice
perché “non devi studiare la musica,
fa tutto il computer quindi non sei un musicista vero
“.

Sappiate che non è così, perché dal punto di vista tecnico,
il fatto di estrapolare un “campione” da una canzone
invece di suonare una parte inedita con uno strumento,
non vi solleverà dalla necessità di conoscere concetti basici
come tonalità, bpm, armonia
ed il campionatore è a tutti gli effetti uno strumento musicale
che per essere usato va studiato esattamente come una chitarra o un piano.

Dal punto di vista creativo poi,
per effettuare campionamenti efficaci e soprattutto non banali,
dovrete ascoltare musica di tutti i generi ed ascoltarne in continuazione
ed ascoltarla con il telefonino in mano,
per annotare ossessivamente il minuto ed il secondo esatto
in cui fissare il “punto di cue”.

Un lampante esempio di ecletticità nella scelta del campionamento
è il brano (Always be my) Sunshine di Jay-Z ed uscito il 16 Settembre 1997,
secondo singolo estratto dall’album In my Lifetime Vol. 1 per Roc-A-Fella Records:
il buon Jay per questo brano ha virtualmente viaggiato nello spazio e nel tempo:
Maggio 1978, i Kraftwerk,
gruppo elettronico tedesco pioniere dell’altra tecnica innovativa per fare musica,
la sintesi sonora, escono per King Klang Records,
in collaborazione con Columbia Records,
con un album che cambierà letteralmente il modo di fare musica
e che all’interno ospita il brano The Man-Machine,
il quale oltre a dare il nome all’album stesso,
regalerà a Jay-Z l’occasione di sfornare l’ennesima hit planetaria,
pescando però da un serbatoio totalmente inesplorato dai rapper
che fino a quel momento si erano limitati a depredare il Funky Soul degli anni ’70.

La passione di Jay-Z per la musica elettronica tedesca non finisce lì:
c’è un’altra prova evidente e, s’intitola Young Forever
estratto come terzo singolo dell’album The Blueprint 3 (solo per l’Europa) nel 2010
su Roc Nation.


Questo brano, infatti è “figlio” di Forever Young,
uscito nel Settembre 1984
come terzo singolo estratto dall’omonimo album degli Alphaville,
giovane gruppo New Wave.

Per chi ama produrre musica, registrare brani e comporre canzoni uniche,
capire come funziona un equalizzatore audio
e qual è il migliore per le proprie esigenze di Home Studio è essenziale.
Certo, probabilmente si ti occupi già di produzione
avrai già avuto modo di lavorare con qualche EQ,
magari sotto forma di plugin per la tua DAW.
Tuttavia, se vuoi dare il meglio
e trasformare la tua passione in una carriera professionale
devi comprendere il funzionamento di questi strumenti.
L’equalizzazione delle proprie tracce può fare la differenza
tra un brano discreto e una hit di successo.

C’è una buona notizia però:
una volta appresa la teoria potrai applicarla a tutti gli strumenti in commercio,
a prescindere dal genere che suoni.
Dedicando 10 minuti del tuo tempo allo studio della teoria del suono
costruirai solide basi per poter crescere come professionista
ottenendo il successo che meriti.

Cos’è un equalizzatore?
Le 5 tipologie

Gli equalizzatori sono uno strumento fondamentale
per manipolare un segnale audio (insieme ai Filtri).
In sostanza un equalizzatore è un circuito (o un software digitale)
che può amplificare o attenuare uno specifico insieme di frequenze
lasciando tutte le altre inalterate.
In pratica l’equalizzazione è quel processo
che ti permette di valorizzare o nascondere una parte dello spettro sonoro
che compone i tuoi brani.
L’obiettivo è molto semplice:
dare la giusta importanza alle frequenze della tua traccia,
riducendo gli elementi indesiderati.
In tutto esistono cinque tipologie di equalizzatore audio:

Equalizzatore a campana
Equalizzatore a scaffale
Equalizzatore parametrico
Equalizzatore grafico
Equalizzatore attivo o passivo

Cosa fa un equalizzatore?
I nomi delle frequenze

Abbiamo visto che lo scopo principale di un equalizzatore
è quello di lavorare sulle frequenze che compongono la tua musica.
Per comodità, nel tempo si sono affermati una serie di nomi
per indicare dei range predefiniti.
Non devi saperli a memoria,
ma siccome si usano spesso è una buona idea almeno leggerli una volta.
Di seguito trovi i nomi più diffusi e la frequenza al centro del range che indicano:

Bottom End, con centro a 63 Hz
Bottom Thump, con centro a 125 Hz
Fullness (o Mud), con centro a 250 Hz
Honk, con centro a 500 Hz
Whack, con centro a 1 kHz
Crunch, con centro a 2 kHz
Edge, con centro a 8 kHz
Sibilance, con centro a 8 kHz
Air, con centro a 16 kHz

Come usare un equalizzatore audio in home studio?

Come promesso, la parte teorica è stata davvero stretta,
adesso è arrivato il momento di darti qualche consiglio utile
per creare suoni in modo consapevole:
ora che sai ciò che stai facendo,
sta solo alla tua creatività riuscire a ottenere un risultato piacevole.
Ricordati però che per lavorare un brano in modo professionale
servono anni di esperienza alle spalle,
quindi non ti scoraggiare se i tuoi primi risultati
sembrano registrati all’interno di un capannone industriale o al centro di un tornado.

Cerca anche di dedicare tempo alle altre fasi dell’ingegneria del suono,
a cominciare dalla incisione.
L’equalizzazione non fa miracoli,
se la tua scheda audio per registrare non è di qualità,
parti già svantaggiato dall’inizio.
Per qualsiasi fase del mixaggio e della catena di mastering
troverai indicazioni pratiche all’interno di questo blog.
In alternativa puoi iscriverti alla newsletter.
Ma ora passiamo a qualche consiglio pratico
per utilizzare al meglio il tuo sistema di equalizzazione audio.

Consigli per una equalizzazione audio professionale

Vediamo insieme le risposte alle domande più frequenti sulla scelta
e sull’utilizzo di questo strumento,
così vitale per creare una musica professionale, piena e piacevole.

Equalizzatore audio analogico o digitale?

La risposta a questa domanda potrebbe prendere articoli interi,
ma la verità è che la maggior parte dei musicisti in erba non ha scelta:
utilizzare il formato digitale integrato nella tua DAW (oppure un componente plugin)
è l’unica soluzione economicamente accettabile.
Ovviamente non otterrai i risultati come se fossi nello studio di una casa discografica,
ma intanto inizierai a migliorare le tue qualità come musicista.
Tuttavia, se hai la possibilità di scegliere
ti consigliamo di impiegare un software digitale
quando sei alla ricerca di precisione e pulizia,
mentre se vuoi caratterizzare meglio il tuo sound
puoi affidarti a uno strumento analogico.

Equalizzare canali audio singoli o segnale master?

Altro dubbio che può assalire i principianti riguarda l’editing multicanale,
come un possibile equalizzatore inserito direttamente sul canale del master.
Diciamo che è una soluzione percorribile,
anzi spesso può essere l’ideale se, ad esempio, la tua strumentazione per registrare
ha evidenti lacune su specifiche frequenze.
Tuttavia, ti svelerò un segreto:
non devi lavorare ogni traccia che inserisci nel tuo programma per mixare musica,
a volte è molto meglio tenere la postproduzione al minimo,
specialmente se non sei certo di quello che stai facendo.
Quindi, se devi fare una modifica che vale per tutte le tracce,
falla pure sul canale del master.
Ma se vuoi un lavoro di precisione devi considerare i canali singoli.

Cut o Booster? Qual è la soluzione migliore?

Basandoci su quello appena detto nel paragrafo precedente,
l’errore più frequente è aumentare a dismisura le frequenze
che appaiono più importanti.
In realtà, la scelta migliore non sarebbe concentrarsi sul booster,
ma preferire il cut.
In pratica è molto meglio tagliare le frequenze indesiderate o almeno attenuarle,
invece di alzare quelle che ricercavi.

Quale equalizzatore usare nel mio home studio?

Parliamo esclusivamente di equalizzazione audio digitale per home recording:
prima di impazzire per scegliere la soluzione più adatta,
prova l’equalizzatore nativo della tua DAW.
Qualora quest’ultimo non fosse in grado di soddisfare le tue esigenze,
in un precedente articolo abbiamo trattato quali sono i migliori plugin VST da implementare.
Troverai anche indicazioni su EQ di alto livello.

Come ultimo appunto, ti consiglio di non rimanere con le mani in mano.
Anche se la postproduzione è un argomento che spaventa i neofiti,
se non inizi ora non imparerai mai.
Inoltre, ricordati che se vuoi distribuire la tua musica
è molto meglio dedicare del tempo a mixaggio e al mastering
per avere più probabilità di successo.

Fabio Bartolo Rizzo meglio conosciuto come Marracash,
MC milanese di origine siciliana appartenente alla Dogo Gang
è sicuramente il rapper più competitivo
quando si affronta l’argomento della scrittura.
Nei testi Marra” mette sotto forma di testo tutta la rabbia
provata nel crescere in una città come Milano,
ma che potrebbe essere qualsiasi città moderna
in cui spesso a quanto pare sono i soldi a fare l’uomo,
in cui regna l’individualismo esasperato.
Rima delle pubblicità, dei luoghi comuni, del materialismo,
degli oggetti della società del benessere
che più che benessere semina frustrazione.
Ed è proprio questo forse il nucleo tematico della scrittura dell’artista,
anzi forse di tutta la sua poetica.
La frustrazione.

Il Principe della Barona,
il quartiere di provenienza è un punto di partenza, di fierezza
che crea forza e identità di questo rapper.
Con il gusto di essere se stessi,
di non vergognarsi delle proprie origini, famiglia, storia,
ma di marciarci sopra (e Marra lo fa forse fin troppo!),
prendendo la propria vita intera,
con tutte le schifezze e i grammi assunti,
e farne il proprio unico e irriproducibile punto di forza.
Puntarci tutto.
Per non essere un prodotto dell’ambiente da cui si proviene,
ma per fare in modo che l’ambiente sia un proprio prodotto.
Dritto al punto, senza filtri, e con un immaginario da giungla molto forte,
supportato dalla gente popolare e dalla gang dei Dogo,
che a Milano vuol dire Bollino Blu.

Marra in questi ultimi anni ha avuto la capacità
di riuscirsi a ritagliare un posto sui gradini più alti della scena Rap italiana
grazie a due dischi che hanno segnato una svolta
nella scrittura dei testi e nell’esposizione di un concept solido e ben articolato:
Persona” e “Noi, Loro, gli Altri“.
Fin dal titolo del disco (Persona), infatti, si comprende il filo conduttore del progetto,
ovvero il dualismo, dal quale deriva l’eterna lotta fra persona e personaggio,
alla ricerca di un’identità impossibile da definire pienamente.
15 brani da ascoltare tutti di un fiato, e tante collaborazioni,
9 per l’esattezza, scelte accuratamente dall’artista,
per far rendere l’album al massimo.
Ogni sua rima, ogni sua parola ha il proprio peso,
lasciando da parte la banalità e l’autocelebrazione, per dare spazio alle sensazioni.
Da non sottovalutare assolutamente è anche la denuncia sociale,
che non ha nulla di politico,
nulla di superficiale e non è mai scontata e fine a se stessa.

La forza solida delle produzioni Rap è unita a momenti di piena consapevolezza.
È percepibile, fra le righe, una voglia di rivalsa che contrasta con la cupezza,
una ricerca di speranza che si fa sempre più intensa.
L’autore si immerge nelle sensazioni lasciate dalle esperienze degli ultimi anni,
cercando venire a patti con il suo personaggio,
rifiutando, come sempre, l’omologazione per seguire un percorso del tutto personale.
Questo album è la prova che si può fare un Rap libero da imposizioni di mercato,
in cui si possono lasciare fluire i pensieri
per osservare con maggiore chiarezza cosa comporta oggi la popolarità
e il suo legame con l’immagine che le persone attribuiscono arbitrariamente.

Dopo “PersonaMarra riesce di nuovo a stupirci con un altro grandissimo disco:
Noi, Loro, gli Altri“.
Il disco, definito dall’artista un “Concept Album” come il suo predecessore,
ha alla base l’idea della divisione sociale.
Le tre copertine, una per ogni diversa versione del disco,
hanno lo scopo di identificare il gruppo di appartenenza di ogni individuo.
In questo nuovo album, il rapper di Barona ci racconta
la sua visione del mondo intorno a lui, ci parla di amici,
delle difficoltà che una persona può trovarsi ad affrontare,
della paura di perdere qualcuno di importante.
Solo nel brano “IO” troviamo una descrizione introspettiva già sentita in “Persona“.
Immagina di dover essere un rapper ed essere costretto ogni volta ad alzare il tiro.
Il concept del disco precedente era basato su “Persona” di Bergman,
il nuovo disco si orienta verso concetti di spersonalizzazione
e conflitti di classe a cui la società in cui viviamo ci obbliga,
ma la critica è rivolta anche agli stessi artisti delle nuove generazioni
che pensano solo alle views, ad essere famosi e a fare soldi,
che spesso fingono di appartenere “alla strada” solo per apparire più fighi,
ma in realtà risultano vuoti e senza background,
dove l’omologazione, le mode e il successo
restano gli unici obiettivi di una generazione
che non ha ancora storicizzato i propri valori.
Detto questo, musicalmente l’album funziona anche meglio di Persona
che già è un capolavoro, soprattutto nella parte iniziale.
Questa volta si apre con due ottime idee:
la banger LORO
e il campionamento di PAGLIACCIO
e si prosegue restando su ottimi livelli per tutto l’intero disco.
A differenza di “Persona“, troviamo solo 3 featuring,
ma scelti benissimo:
ovviamente non poteva mancare il pezzo con Gué, LOVE,
un brano sull’amicizia cantato sulla base di Infinity di Guru Josh;
Poi Calcutta e Blanco che cantano rispettivamente i ritornelli
di LAURA AD HONOREM e NEMESI.
In realtà ci sono anche delle collaborazioni nascoste,
Elodie in CRAZY LOVE,
Salmo e Joan Thiele in COSPLAYER, con quest’ultima anche in NOI,
e Fabri Fibra nella skit NOI, Loro E GLI ALTRI.
Noi, Loro e gli Altri è l’ennesimo passo avanti di un artista
che non deve più dimostrare niente,
ma che continua a sorprendere grazie alla sua scrittura esemplare.

Le liriche di Marra sono più personali che mai,
ma allo stesso tempo permettono una forte immedesimazione,
con l’utilizzo di immagini universali, vicine a tutti gli ascoltatori.
Forse Marra non riuscirà mai del tutto a vincere su Marracash,
ma sicuramente non perderà mai la fame artistica che lo spinge a fare sempre meglio,
perché la musica è un veicolo terapeutico potentissimo
per esprimere i meandri della propria personalità.

E’ il 13 Gennaio 1969
e dagli altoparlanti delle radio americane e britanniche,
comincia ad essere gettonato “The son of a Preacher Man”.
Alla voce c’è Dusty Springfield e il brano,
singolo estratto dall’albumDusty in Menphys
edito per Atlantic Records che in quegli anni è una delle label di riferimento
per il Soul e R&B nel circuito americano.

Il brano, non fa grandissimi numeri,
ma il tempo gli concederà la giusta considerazione in più modi:
attualmente “The son of a Preacher Man
occupa la posizione numero 77 della lista dei migliori 100 singoli degli ultimi 25 anni,
stilata nel 1987 da Rolling Stone.
Nel 2004 è stata classificata alla posizione 240
della lista delle 500 migliori canzoni della storia,
sempre stilata da Rolling Stone
e, nel 1994, si guadagna un posto d’onore a corte di sua maestà Quentin Tarantino
che la inserisce nella sound track della sua seconda opera maxima Pulp Fiction”.

Non finisce qui: è il 20 Luglio 1993 quando un gruppo di rapper di Los Angeles,
i “Cypress Hill” escono con il loro secondo album Black Sunday
edito Ruffhouse in collaborazione con Columbia Records,
andando a caccia di conferme dopo il successo del primo album
l’omonimoCypress Hill” uscito due anni prima.
L’album inneggia a pieni polmoni” alla marjiuana ed ai suoi effetti benefici.

La traccia numero 10, in particolar modo,
è un omaggio a quella che diventerà la cifra distintiva della band:
il leader B-Real, infatti, a metà concerto si ferma
e fa un profondo tiro da un bong di dimensioni gigantesche
per poi sbuffare una nube di fumo denso verso il pubblico che,
inutile dirlo, esplode per aria ancora oggi, dopo 35 anni.

Il titolo della traccia è ovviamente “Hits from the bong
e la base, che è un piccolo capolavoro,
viene retta da un campione preso proprio dall’intro
di “The son of the preacher man”.
Ancora una volta, grazie al campionatore,
un brano Soul che parla dei baci rubati dal cugino Billy-Ray
(figlio del predicatore e visto quello che fa anche un pò figlio di putt****)
alla cugina nel giardino dietro casa mentre il padre predica,
diventa una street song che non può assolutamente mancare tra i vostri ascolti.

  • Dusty Springfield – Son of a Preacher Man
  • Cypress Hill – Hits from the Bong




(Kappa)

Il compressore è un processore che agisce sulla dinamica di un segnale audio, intervenendo in attenuazione sui picchi massimi del segnale.
In parole semplici, il processore agisce riducendo l’ampiezza
di una porzione di segnale che supera una certa soglia (impostata).
Riducendo i picchi massimi del segnale, ma lasciando inalterato il livello in dB,
i picchi minimi saranno più udibili,
in questo modo la dinamica del segnale risulterà ridotta.
La finalità di questo strumento non è solo di comprimere la dinamica del segnale,
ma anche quella di “enfatizzare” i dettagli del suono
nascosti nei picchi minimi del segnale.
Il compressore agisce in base al livello di tensione in ingresso,
può lavorare in due modalità diverse:

Peak:
Il compressore ha una risposta ai picchi di segnale,
quindi lavora esattamente in base all’ampiezza del segnale in ingresso.

RMS:
Il compressore ha una risposta al RMS (Root Mean Square),
quindi lavora in base al valore efficace (≅70% dei picchi),
quindi ha un andamento che produce meno scatti.

Andiamo ora ad analizzare e comprendere i parametri principali del compressore.

THRESHOLD (SOGLIA)
Si esprime in decibel (dB).
E’ il parametro che ci permette di decidere la soglia sopra la quale
il segnale inizia ad essere attenuato, quindi compresso.
Sotto la threshold non avviene nessun intervento, il segnale rimane invariato.
Più il valore della threshold è basso e più ci sarà intervento
da parte del compressore sul segnale.

RATIO (RAPPORTO)
Si esprime con un rapporto N:1.
E’ il parametro che agisce sulla quantità di riduzione di ampiezza
al di sopra della soglia.

Alcuni valori tipici sono:

1:1 Non c’è compressione (bypass).
2:1 Il valore di ampiezza (dB) viene dimezzato.
(es. il segnale supera la soglia di 10 dB, quindi verrà attenuato a 5 dB sopra la soglia)
3:1 – 4:1 Il valore di ampiezza viene attenuato di 2/3 – 3/4.
(es. rapporto 3:1, il segnale supera la soglia di 3 dB,
quindi verrà attenuato di 2 dB, l’attenuazione risultante è di 1 dB sopra la soglia
)
≥10:1 Il compressore si comporta quasi come un limiter.
∞:1 Attenuazione massima, il segnale non va oltre la soglia (limiter).
In linea di massima, più è alto il valore N del rapporto
e più sarà “pesante” l’intervento.

Il valore della ratio ci da la curva di compressione.

GAIN MAKE-UP (GUADAGNO)
Si esprime in decibel (dB).
Generalmente chiamato Output,
è il parametro che permette di regolare il guadagno sul livello del segnale in uscita.
Permette di recuperare gli eventuali dB persi nell’intervento di compressione,
dando modo di riportare al livello in ampiezza originale il segnale audio trattato.

ATTACK (ATTACCO)
Si esprime in millisecondi (ms).
E’ il parametro che permette di impostare il tempo in cui,
dopo che il segnale supera la soglia,
il compressore passa dal rapporto (ratio) 1:1 al rapporto impostato (N:1).
Ritardando l’intervento del compressore vengono mantenuti i transienti istantanei
(Attack dell’ADSR), in modo che questo picco iniziale non venga attenuato,
iniziando ad agire successivamente,
attenuando progressivamente il segnale sopra la soglia.
E’ molto utile nel caso di compressione delle percussioni,
caratterizzate da transienti istantanei molto veloci.
In parole semplici, tramite l’attack,
viene impostato un ritardo sull’intervento del compressore.

RELEASE (RILASCIO)
Si esprime in millisecondi (ms).
E’ il parametro che permette di impostare il tempo in cui,
dopo che il segnale scende sotto la soglia,
il compressore passa dal rapporto (ratio) impostato (N:1) al rapporto 1:1.
E’ utile per controllare l’ampiezza della coda del segnale,
omogeneizzandola all’azione del compressore sopra la soglia di intervento.

KNEE (CURVA DI COMPRESSIONE)
Si esprime attraverso un numero N.
E’ il parametro che permette di scegliere l’inclinazione della curva di compressione.
In pratica permette di rendere l’intervento del compressore più “dolce” o più “duro“.
Se la curva è dolce (Soft Knee), più sarà l’intervento del compressore graduale, iniziando l’intervento prima che il segnale raggiunga la threshold (soglia) impostata,
rendendo i risultati più naturali.
Se la curva è dura (Hard Knee) l’intervento del compressore è istantaneo
dalla threshold impostata,
rendendosi utile in casi in cui si hanno transienti molto veloci.

STRUTTURA DEL COMPRESSORE
In maniera generale possiamo strutturare il compressore per blocchi:
VCA: è il modulo che effettua la compressione.
Detector: è il circuito che analizza i picchi di segnale,
riconoscendo quali sono quelli che superano la threshold (soglia),
inviando un segnale di controllo al VCA per la compressione.
Gain Make-Up: è il modulo che permette di effettuare un guadagno
sul segnale in uscita, recuperando i dB persi durante la compressione.

PERCORSO DEL SEGNALE
Il segnale in ingresso al compressore viene separato (split) e inviato al detector,
che analizza il segnale sopra la soglia, e al VCA.
Il detector comanda il VCA che comprimerà il segnale in base ai parametri impostati.
Successivamente il segnale in uscita dal VCA andrà al Gain Make-Up
che amplificherà il segnale in uscita in base al parametro impostato.
In alcune tipologie di compressore obsolete il segnale in ingresso non viene splittato,
ma inviato al detector direttamente dal VCA (Feed-Back).

KEY INPUT
Il Key Input è un ingresso, attivabile da un interruttore on/off,
posto nel percorso che va al detector.
Inserendo una sorgente diversa nel detector è possibile far lavorare il compressore
secondo il livello della sorgente esterna e non più della sorgente in ingresso.
Un chiaro esempio di utilizzo è quello della compressione del basso
in base alla cassa (Kick) della batteria.
Spesso i due segnali, aventi frequenze simili, si sovrappongono.
Quindi viene compresso il segnale del basso in base al livello del segnale della cassa,
rendendo il mix risultante più distinto.

SIDE-CHAIN
Il Side-Chain è un’ingresso insert posto nel percorso che va al detector.
E’ un ingresso Insert che permette di deviare (send) il segnale inviato al detector
in un processore esterno, per poi farlo tornare (return) verso il detector.
In questo modo si riesce a trasformare il segnale originale inviato al detector.
Questo metodo è molto utile nel caso in cui si vuole comprimere
solo una certa banda di segnale, utilizzando un processore di spettro
che filtra il segnale, lasciando invariata la banda da trattare.
Oppure enfatizzando una certa banda,
portandola sopra la soglia per comprimere solo quella (es. De-Esser).
Può essere anche utilizzato come Key Input inserendo solo la sorgente nel return.

TIPI DI COMPRESSORE
In base alla tecnologia utilizzata per i circuiti interni,
esistono varie tipologie di compressore.
La scelta del tipo di compressore da utilizzare va dalla componentistica
al “colore” del suono risultante,
passando per parametri come velocità, larghezza di banda e fedeltà
(naturalezza) del risultato.

Vediamo i più caratteristici cercando di analizzare le differenze.

VCA
Nei compressori VCA il segnale passa attraverso dei circuiti a stato solido (transistor).
E’ la tipologia di compressori più diffusa per via di un basso costo
ed occupano poco spazio,
pur mantenendo una qualità, velocità e larghezza di banda ottima.

FET
I compressori FET sono molto simili ai VCA,
il segnale viene trattato sempre da transistor,
ma da una particolare tipologia chiamata FET (Field-Effect Transistor).
La caratteristica che li distingue dai VCA è la velocità di risposta,
molto più veloce, che li rende adatti a segnali audio
con transienti molto veloci (percussioni).

VALVOLARI
In questo caso, nei compressori valvolari, al posto dei transistor,
vengono utilizzate le valvole.
La valvola è l’antenato del transistor, infatti è una tecnologia alquanto datata,
ma che viene mantenuta ed utilizzata sopratutto per il “colore
che le valvole danno al segnale risultante.
La “pecca” è che sono molto ingombranti.
I modelli di compressori valvolari variano anche
per il numero di valvole poste nel circuito.
La velocità risposta del compressore è molto lenta,
infatti non sono adatti a segnali con transienti veloci.

OPTO
L’azione del compressore Opto non è data dal segnale audio in ingresso
come per gli altri, bensì dall’intensità di luce in ingresso.
Capiamo meglio:
l’intensità del segnale in ingresso viene convertita in segnale luminoso
emesso da un LED e captato da un fotoresistore o fotodiodo.
L’intensità della luce emessa dal LED è proporzionale all’intensità del segnale audio.
Quindi, più luce riceve il fotoresistore o il fotodiodo,
più il segnale in uscita viene compresso.
La velocità di risposta del compressore Opto è molto dolce (Soft Knee),
rendendo la compressione più naturale.

CONCLUSIONI
A questo punto dovresti conoscere ogni dettaglio di un compressore,
quindi puoi iniziare ad usarli avendo piena coscienza di cosa stai facendo.

Spero che questo articolo ti possa essere stato d’aiuto.
Se ti sono venute in mente delle domande, scrivici nei commenti!

Negli anni ’80, quando il Rap inizia a staccarsi dalle feste di quartiere
per prendere una forma tutta sua,
grazie a mostri sacri del genere come Run DMC e LL Cool J
si iniziano a delineare i capisaldi della moda Hip Hop:
una carica di influenze provenienti dallo stile disco alla break dance
passando per l’attivismo.
Si iniziano ad indossare tute Adidas
con l’immancabile tripla striscia e appariscenti gioielli.
L’uniforme del rapper si arricchisce di accessori costosi
o rubati al mondo dello sportswear:
tra i must in questi anni figurano i cappellini da baseball New Era e i bucket hat,
gli anelli multifinger che formavano messaggi come “Love/Hate“,
enormi catene dorate, scarpe enfatizzate dai maxi lacci o portate direttamente senza.
Ma soprattutto, cambiano le proporzioni.
Se prima erano accettate anche silhouette più aderenti,
adesso i volumi diventano oversize, quindi sì a pantaloni baggy,
t-shirt e felpe molte taglie più grandi.
Il Rap dipinge immagini nitide delle vite ai margini, spaccati di una realtà cruda,
abbandonata dalle istituzioni e segnata dalla frustrazione per un sistema corrotto,
dalla povertà e al contempo da un bruciante desiderio di riscatto sociale,
per questo motivo anche gli indumenti possono rappresentare una rivalsa
per chi ha vissuto una vita in balìa del precariato e della povertà.

Gli anni ’80 sono un importante punto di svolta nel rapporto tra Rap e moda
anche per l’imponente proliferazione di brand
nati appositamente per soddisfare la scena Hip Hop:
è il caso di FUBU, leggendario marchio di abbigliamento creato da Daymond John,
oggi tra i più importanti investitori d’America.
FUBU nasce come un manifesto della black culture
e fa riferimento direttamente a chi si fa portavoce di quest’identità.
Il brand già da subito puntò a creare un legame empatico con il cliente
ed è per questo che funzionò in modo ottimale.
Tra cappelli, maglie e felpe, all’inizio degli anni ’90 il brand è un successo
e veste già tutti i rapper che contano, da Ol’Dirty Bastard agli NSYNC.

Nel 1982 nel mondo della moda inizia a farsi strada anche Dapper Dan,
che negli ultimi anni ha vissuto di nuova fama
grazie alla importante collaborazione con Gucci.
Tra i principali creatori dello stile Hip Hop, il designer aprì la sua boutique
nel cuore di Harlem, a due passi dal leggendario Apollo Theatre:
si trattava di uno spazio innovativo, aperto giorno e notte,
ventiquattro ore su ventiquattro.
È evidente come lo stile e la scelta degli indumenti da utilizzare
siano molto legate ai contesti storici vissuti in quel periodo.
Ciò nonostante questa evoluzione dello stile ha continuato a rivivere
fino ad oggi mutando forme e contenuti
attraverso l’uso delle piattaforme virtuali e dei social in particolare.
Ma mentre i rapper vecchia scuola andavano sempre di più verso lo stile classico
ed elegante (non era raro vederli in completi scuri, con giacca e cravatta),
nella scena odierna si trovano delle idee di moda decisamente più estreme e originali,
con accostamenti bizzarri e una certa ossessione per alcuni brand

La Trap, ad esempio può essere definita la variante contemporanea del Rap.
Ha basi elettroniche cupe e testi dilatati.
L’aspetto musicale è quasi secondario nel caso di questo genere.
E’ il tipo di mondo che si rappresenta
ed il personaggio che si interpreta
a farla da padrone,
ecco perché sono così importanti vestiti, scarpe, tatuaggi, capelli e accessori.

Se prendiamo come esempio uno dei più famosi in Italia,
Sfera Ebbasta, e guardiamo cosa indossa,
viene fuori un elenco lungo e curioso:
Gucci, Supreme, Nike, Yves Saint Laurent, Versace, Vans,
Adidas, Stella McCarteney, MSGM, Alpha Industries e potremmo continuare a lungo.
In una delle sue performance (al concerto del Primo Maggio) esibiva ben due Rolex,
ma anche un tanto improbabile, quanto fashion, marsupio molto stile anni ’80.

Il mix che ne viene fuori vede elementi streetwear, da rapper,
assieme a tocchi fashion di chi vuole esibire brand del lusso,
in stile swag, è uno stile difficile da definire ed interpretare
che possiamo capire solo se riusciamo ad integrarlo a tutto il contesto
legato ai vari social (Facebook, Instagram, TikTok).
Quindi scarpe Vans, ma con accessori Gucci, occhiali Versace e pantaloni Adidas,
elementi eleganti abbinati a capi per niente eleganti,
ma con un tocco eccentrico, e tutti insieme convivono
in uno stile che trova le sue influenze praticamente ovunque.

Dove i rapper non erano arrivati, ci sono arrivati i trapper:
Tatuaggi su tutto il corpo, anche e soprattutto sul volto,
la lacrima tatuata sotto l’occhio, le scritte “Hate” o “Love”,
pugnali, teschi, cuoricini, anche qui va bene tutto,
l’importante è esagerare.
treccine colorate, boccoli, rasature decorative e tinte oltraggiose e provocatorie. Questo lo stile della nuova scena.

L’estetica è quella dello spacciatore che ha fatto i soldi
e che si è riscattato fino al punto da non avere più bisogno di spacciare.
Il mondo che si racconta è quello:
cupo, drogato, ossessionato da moda e soldi, giovane e un po’ nichilista.
Un tipo di estetica che non poteva non piacere alla moda, e viceversa.
Parliamo di un mondo che vive su delle contraddizioni perenni
dove i giovani sono costantemente vittime dei disagi sociali
provocati da una società che tende deliberatamente
a tagliare fuori qualsiasi tipo di individuo.
Questo sistema esclusivo” piuttosto che “inclusivo
fa si che le nuove generazioni cerchino in tutti i modi di sfuggire
a determinati disagi sociali attraverso la musica e la moda,
esprimendo il loro totale disappunto verso il mondo che li circonda.

Se ci fermiamo, anche solo un attimo, a guardare indietro,
vengono i brividi al solo pensiero di quanti anni sono passati
dalla prima volta in cui abbiamo messo piede in uno studio di registrazione
e abbiamo avuto l’occasione di mettere le mani su un campionatore AKAI.

Al tempo un campione lo dovevi “tagliare” su un display monocromatico,
grande quanto un francobollo,
potevi “salvare” un numero limitato di campioni
e un campionatore aveva il costo pari a quello di un rene,
sul mercato nero degli organi.

Tutto questo non ha però impedito a questa tecnologia di prendere piede
fin dalla metà degli anni 80, soprattutto nella cultura Hip Hop
che ha fatto del campionamento una cifra distintiva,
pescando a mani piene nella musica Soul e R’n’B anni 60/70/80.

Oggi parliamo dei “The Delfonics“, un gruppo pioniere del “Philadelphia Soul
formatosi nel 1967 e ancora in attività nonostante un primo scioglimento nel 1975.
Tra le hit di questo gruppo spiccaReady or Not Here I Come (Can’t Hide from Love)“:
ascoltando l’intro della durata di due battute,
riconoscerete sicuramente la hit di sua maestà TimbalandSock it 2 Me“,
prodotta per la al tempo “esordienteMissy “Misdemeanor” Elliot
ed uscita sul mercato il 21 Ottobre 1997 per Elektra Records.

Proseguendo nell’ascolto, scoprirete che questo smielato brano d’amore,
uscito il 22 Ottobre del 1968 per Philly Groove Records,
non ha ispirato solo Timbaland:
è il 2 Settembre 1996 infatti, quando grazie alla Ruffhouse Records,
esce il brano di esordio dei FugeesReady or Not” che,
grazie ad un testo rivisitato in chiave street,
ed all’intro di “Boadicea”, brano scritto e interpretato dalla “fata celtica” Enya,
uscito il 2 Novembre del 97 per Warner Music UK,
preso in prestito per la creazione del beat,
riescono a regalarci una nuova versione più aggressiva di questo classico del Soul.

  • The DelfonicsReady or Not Here I Come (Can’t Hide from Love)
  • Enya – Boadicea (2009 Remaster)
  • Missy ElliottSock it 2 Me (feat. Da Brat)
  • FugeesReady or Not




(Kappa)

Il Rapper parla alle nuove generazioni
con un linguaggio crudo, semplice e immediato.
Il Rap ha avuto un forte impatto sulle nuove generazioni
che sentono e hanno voglia di esprimere un disagio interiore e sociale
e questo genere è un ottimo mezzo per comunicare e urlare
quello che non ci piace nella società.

La maggior parte dei Rapper sono persone che hanno vissuto un percorso difficile
ed hanno trovato nella musica uno strumento efficace per sfogarsi,
per superare i loro problemi, per esprimere i loro disagi.

July 1993

Non solo, riescono anche a leggere la società con tutte le sue contraddizioni.
I loro testi, le loro parole non hanno mezze misure.
Loro non vogliono essere poetici, ma vogliono lanciare messaggi,
in cui credono veramente,
in modo semplice e immediato, anche se molto spesso crudo.
Spesso dietro la loro immagine da arroganti e il loro stile sportivo o trasandato
si nasconde una grande sensibilità nel capire i disagi delle persone.

Di seguito una lista di libri sui Rapper
che hanno saputo distinguersi e ritagliarsi un posto nel mondo della musica.

1) Dietrologia. I soldi non finiscono mai di Fabri Fibra

2) Zero di Sfera Ebbasta

3) Sono io Amleto di Achille Lauro

4) Guérriero. Storie di sofisticata ignoranza di Gué Pequeno

5) Il tocco di Mida di Don Joe

6) Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile di Francesco Kento Carlo

7) Consigli a me stesso. I miei 2 centesimi di J-Ax

8) La profezia di Clementino. Quel che ho sognato tra Sud e Rap di Clementino e Diego Nuzzo